Tutti noi ci sforziamo di rimanere centrati, nel corpo, nelle relazioni, nel nostro rapporto con le cose del mondo. In questa ricerca ci sentiamo un po’ speciali.
Centrati nel corpo Quando ci ascoltiamo, chiudiamo gli occhi o respiriamo, sentirci in contatto con il corpo, con l’ombelico, con i piedi, con il cuore o con la colonna vertebrale, ci aiuta a sentirci centrati, nella postura, nel movimento, nelle sensazioni. In qualsiasi punto poniamo la nostra attenzione, sperimentiamo la centratura e le linee di forza della nostra architettura interiore. Sperimentiamo quello che conta davvero: la consapevolezza di avere un radicamento funzionale, interiore. Centrati nelle relazioni Quando interagiamo con gli altri siamo in contatto con la ragione e con le emozioni, e siamo mossi dalla fiducia. Possiamo dire di ‘sì’ più spesso di quando possiamo dire di ‘no’. Siamo in contatto con l’altro e la centratura avviene in più modi: in contatto con sé e, contemporaneamente, con l’altro. Ma quello che conta non è essere più o meno in contatto con cosa, quello che conta è la centratura. Si può parlare rimanendo in contatto con il proprio respiro o con il flusso delle proprie parole e gesti o in completo contatto fusionale con l’altro. Si può passare da una strategia all’altra, da un centro di attenzione all’altro, quello che importa è scegliere la propria inclinazione. Centrati nel mondo: la via di mezzo Per certe tradizioni spirituali significa non essere troppo attaccati al mondo e nemmeno troppo negativi da cercare di allontanarsene. Si tratta di una via di mezzo molto attiva: né troppo presi, né troppo distaccati. In equilibrio, immobili, centrati. Quando si riesce ad abbandonare l’aspettativa e anche l’idea di fallimento, e cioè gli estremi di aspirazione e indifferenza, la realtà diventa quella che è: esperienza, benessere, felicità. Si comincia col guardarsi allo specchio, spegnere la mente, accendere le emozioni, e scoprire che la personalità cambia e con essa l’intera struttura con cui osserviamo e viviamo il mondo.
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‘Sto bene! Dice il mio cliente, ‘ho solo …’
E’ già abbastanza difficile trovare un terapeuta o un professionista, con cui connettersi e trovarsi bene. E aver voglia di aprirsi. In fondo si cerca solo una buona ricetta o un ‘alchimista’ per i nostri ’banali’, ’impossibili’ e, a volte, ’impensabili’ problemi. Il più delle volte ci si sfoga con un bicchiere al bar, parlando con l’amico, leggendo un libro. La recita è che nessuno vuole andare in terapia. In fondo che ci si va a fare: due chiacchiere? Si resiste per anni prima di farlo e solo dopo che i problemi ci hanno seppellito. E poi diciamolo, gli uomini non vanno in terapia. Gli uomini fanno gli uomini e sono troppo occupati per esprimere i propri disagi o le emozioni più intime. In quei casi, il cuore maschile assomiglia al vetro blu di un grande lago, sotto la luna, dove tra le acque calme ondeggiano emozioni bloccate da piedi di cemento. Ma in fondo, ammettiamolo, si sta bene! E quando si sta bene, non si va in terapia. Ci si va quando si ‘vola sul nido del cuculo’, famoso film con Jack Nicholson, e quando ci si fa proprio male. E magari è tardi. Destinati a fare cose importanti e a comportarsi da uomini, parlare di emozioni, non è agire. Anzi è un buttare via tempo e soldi. Ma quando finalmente ci si va, in terapia, il rischio è quello di banalizzare i problemi e di annunciare che in fondo non se ne ha bisogno. Non ci si accorge di essere ubriachi del proprio ego. Nel profondo, è difficile ammettere le nostre debolezza a noi stessi e ai nostri cari. Così è difficile accettare che la vita ha perso di sapore, che i nostri sogni sono stelle in fin di vita e che il futuro è come un lupo affamato. Cosa proteggiamo così strettamente? Teniamo segreti a noi stessi e agli altri i pensieri e i sussurri. I brutti giorni, le settimane sgradevoli e gli anni difficili. E a volte ci sentiamo piccoli e invisibili. Così ce la raccontiamo: nessuno può 'vederci' se sembriamo 'guariti'. E quando diciamo che stiamo bene, possiamo immaginare, nonostante tutto, che siamo 'felici'. Quando facciamo esercizi che ci invitano a esplorare lo spazio relazionale degli affetti, degli altri e dell’ambiente, quando spegniamo il giudizio e facciamo emergere sguardi, gesti e suoni liberatori, il corpo ride, suda, piange e la mente va in confusione.
Le emozioni, quando vengono riconosciute e liberate, sorprendono e confondono allo stesso tempo: il corpo si muove, emergono vissuti e polarità, e ciò che si prova è un’esperienza integra, totale, liberatoria. Senza giudizio. Allo stesso tempo, gli stessi movimenti, relativizzati dalle nostre maschere, possono generare sbilanciamenti, dubbi, confusione, vergogna. Nel frattempo, tutto diventa scoperta: dal buio più nero, agli abissi più profondi; dalla paura più ancestrale, alla fede più incrollabile. Il corpo accompagna tutto questo. Mentre ci si muove, qualcosa fa ‘click’ dentro di noi, le emozioni trovano spazio, e ci si muove con fiducia alla scoperta di interezza, unicità e individuazione. Per la mente, tutto questo, è un vero dilemma: è difficile integrare strati di dubbi e di maschere, e riuscire a vederli come una strada verso la realizzazione personale. Per una persona normale che desideri crescere attraverso la conoscenza di sé e la libera espressione delle proprie alterità, è una meraviglia, è un immergersi in se stessi. Ma chi fa esperienze per finalizzare le proprie competenze sul lavoro o nello sport, il compito è arduo. Si tratta impiegare le proprie energie in sforzi appropriati. Avere un’incrollabile fiducia nelle proprie capacità e nel contempo avere forti dubbi, è normale. Sono due strade che conducono entrambe all’integrazione. Quella di fidarsi ciecamente è apparentemente più facile, basta assecondare le emozioni: avere fede. Ma avere incertezze, dubbi e paure, sembra un percorso più difficile, ma altrettanto interessante: occorre modificare delle credenze. Su tutto, non bisogna spingere a forza le emozioni nei recessi più oscuri dell’anima. Bisogna accettarle, apprezzarle e ... sperimentarle. Si vedranno le cose per quello che sono e non sarà necessario annegare nelle emozioni degli altri. Avevi detto di voler fare qualche cambiamento nella tua vita, formarti, crescere e non perdere tempo. Hai provato a farlo?
Ti ricordo che i cambiamenti iniziano con piccoli passi. E se il tuo obiettivo è formarti e crescere, ecco cosa puoi fare. Vuoi esplorare nuove opportunità professionali? Informati, scegli un corso di studi, nuove letture, partecipa ad un seminario, invita un amico. Mettilo sul calendario. Fa in modo che succeda. Vuoi portare a termine un progetto? Comincia da un piccolo progetto, quello della settimana, e poi finiscilo. Avevi pensato di aprire una pagina Linkedin e sviluppare un sito? Se inizi, prima di quanto pensi, puoi finire progetti a destra e manca. Vuoi ottimizzare le tue energie? Vai in palestra, in piscina, in bici all’aria aperta. Imposta un orario e blocca tutto il resto. Vuoi mangiare meglio? Scegli cibi sani, riempi il frigo di cose buone e sarà più facile saziarti e sentirti meglio. Vuoi cambiare un’abitudine? Stai perdendo tempo e lo vuoi impiegare meglio? Occorre interrompere quella cattiva abitudine. Addirittura cancellarla, come quando si cancella un’App sul telefonino. Bisogna rompere il rapporto con l’attività che fa male. Costi quello che costi. Vuoi frequentare persone di qualità? Se hai un obiettivo e vuoi migliorare qualcosa di te hai bisogno di fare nuove telefonate a persone di cui riconosci le qualità. Non solo ai soliti amici. Sono necessari nuovi rapporti per particolari progetti e forse hai bisogno di sperimentarti in innovative dinamiche relazionali. Vuoi lavorare su di te? Netflix, TV o Instagram, di giorno e di notte? Bisogna riuscire a dire: ‘no, grazie!’ L’auto sviluppo è una pratica che ha bisogno di priorità: meditazione, riflessione, lettura, diario, scrittura. E non c’è da stupirsi se poi scoprirai di avere molte risorse personali. Quando amiamo, facciamo promesse di cui, nel tempo, ci pentiamo.
L’esperienza di ogni giorno ci racconta di quanta ingenuità, troppo spesso, siano intrise le nostre promesse. Promesse di matrimonio, di felicità, di ‘per sempre’. Sull'onda del nostro sentire, o sulla spinta del momento, fingiamo che le nostre scelte siano eterne. Purtroppo non è così: ‘niente è per sempre’. La vita di ogni giorno, la vita che conducevano un anno o dieci anni fa, è la dimostrazione del fatto che le cose cambiano. Le persone cambiano, noi cambiamo. Il cambiamento non deve spaventare. Il cambiamento può renderci molto felici. Può entusiasmarci. Può condurci a una vita migliore. Può permetterci di vedere l’altro, i nostri figli, il mondo che cambia. Guardare le cose che evolvono e crescono, e apprezzare tutto ciò che si trasforma. Senza paura. Sapere come i nostri figli cresceranno. Sapere come sarà la pelle di nostra moglie o marito tra un anno e tra decenni, sarà tutto questo. Basta non essere distaccati, ingenui o delusi, e vivere le cose che accadono. E quando si sarà vecchi e fragili, in litigio per le coperte, i rumori, il bagno, i soliti discorsi, dovremo ricordare i momenti belli che ci hanno fatto scegliere le persone con cui vivere. Guarderemo la nostra vita alle spalle e nell’abbraccio delle persone che amiamo ci sentiremo davvero a casa. C’è qualcosa di speciale quando due persone si mettono insieme e decidono di fare scelte sull'onda delle emozioni.
Viviamo in un mondo cinico che diffida delle emozioni. Non fanno che ricordarci che le emozioni vanno temperate dalla ragione. Che le emozioni sono infantili, irresponsabili, pericolose. Ci insegnano a ignorarle, controllarle, negarle. Capiamo a malapena cosa siano, da dove vengono e come esse sembrino capirci più di quanto capiamo noi stessi. Le emozioni contano. A volte sono piccole come i ricordi di una colazione, una festa, un viaggio e ci manca un genitore, una nonna, un fratello, un amico. Altre volte sono immense come quando si scopre la vita, quando un figlio diventa genitore, quando si condividono degli ideali, e si fanno crociate per migliorare il mondo in cui viviamo. Se siamo fortunati arrivano emozioni che cambiano tutto. Se riusciamo a coglierle, e non ci spaventano, arrivano come un fulmine, inaspettatamente. Arrivano e travolgono. Forse, se chiudiamo gli occhi e ci ascoltiamo, possiamo ricordare quello sguardo, quel tocco, quel ballo, quell’atmosfera o quella notte, che ci ha travolti. E se le proviamo ancora, quelle emozioni, oggi sono come onde di sensazioni e pensieri. Sensazione di provare la cosa giusta, che la persona che abbiamo scelto, o l’emozione che proviamo, sia speciale o unica. E a dispetto delle densità che incontriamo, i pensieri non cambiano. Quello che proviamo diventa una guida. E’ grazie a quella guida, che proviamo le emozioni che definiamo affetto profondo, compagnia di vita, amore. In quelle emozioni intravvediamo il futuro. Un futuro di cui fidarsi, malgrado tutto, più di qualsiasi altra cosa. Tutti noi siamo sensibili all’apparenza: ai denti storti, al viso imperfetto, alle cicatrici, alle forme, al peso.
I problemi di apparenza occupano i nostri pensieri e cerchiamo in ogni modo di correggerli con creme, apparecchi, trucchi, diete, palestra, chirurgia. Cosa ne discende? Che il mondo è un palcoscenico e l’identità è solo un costume che condiziona la nostra vita. Tutto inizia con il tribunale severo del giudizio estetico. Col confronto dei modelli altrui. Con le foto speciali ritoccate allo specchio. Col dover apparire perfetti in ogni circostanza. E’ una gabbia che porta ai tempi supplementari della vita, alle delusioni e all'inarrestabile adattamento del corpo alle nostre pazze scelte per trasformarlo. L’apparenza è diventa un’ossessione. Peccato che, nell'adottare uno stile di vita esteriore, l’esistenza stessa ha perso di consistenza e profumo. Trattiamo bene il nostro corpo, pertanto, ma soprattutto miglioriamo il rapporto con la nostra mente. Razionalizziamo i nostri giudizi. Affrontiamo i problemi di ansia che stanno alla radice dei problemi alimentari, se ne abbiamo. Soprattutto prendiamo delle decisioni che qualifichino la nostra vita, come la scelta di un lavoro che ci rende felici. Cambiamo le convinzioni che ci limitano e impariamo a tirare fuori quello che siamo in potenza. L’apparenza è vissuta come un tutto, ma è ‘solo’ una forma di percezione vincolante, che intrappola le nostre prospettive. Dobbiamo andare un po’ più dentro di noi, con una doppia veduta: esteriore e, soprattutto, interiore. Smettiamo di credere a tutto ciò che vediamo, sentiamo e, a volte, rimuginiamo. Proviamo a pensare diversamente. Essere più belli non fornisce una felicità a lungo termine. Sapere chi siamo e pensare a come essere di aiuto agli altri, invece sì. Apparire è solo un primo gradino. Quelli successivi riguardano il controllo di immagini e pensieri. Uscire dall'egocentrismo è una conquista di libertà. Essere ossessionati e preoccupati dal nostro aspetto, è un problema nostro; ma essere guardati e giudicati dagli altri è un problema loro. Bisogna andare oltre noi stessi e abbracciare il nostro aspetto. La bellezza vera è ciò che ci rende diversi. Diversi da tutti gli altri perché ci rende più saggi. Tutti diventiamo vecchi e rugosi. E’ una battaglia che si perde, ma si può vincere con l’essere felici, ora. Con il godere di ogni momento con i figli, la famiglia, gli amici. E con l’amico speciale che siamo noi quando trascendiamo l’apparenza e smettiamo di giustificare il nostro aspetto, le sue cicatrici, la sua storia. Quello di cui dovremmo veramente essere ossessionati è la nostra bellezza interiore, il nostro sorriso, la nostra gentilezza. La nostra forza. Facciamoci un bel regalo. Fissiamo fin da ora, e per il prosieguo della nostra vita, quegli aspetti interiori la cui bellezza non sfiorisce mai. Ricordo che alle gare mio padre non c’era. E non c’era nemmeno agli esami importanti o alle lauree. C’era dell’orgoglio nelle sue poche frasi di soddisfazione una volta ritrovati a casa: 'brav al miè puton' (Bravo il mio bambino) diceva.
Me la sono sempre raccontata come fosse una normalità, la logica conseguenza di una vita dove ognuno faceva la sua parte e il proprio dovere. Così ho restituito la stessa moneta ai miei figli. Sempre via per giustificati motivi: lavoro, separazione, distanze. In questi anni invece ho avuto la soddisfazione di partecipare più attivamente alle loro esperienze, alla loro crescita e ai loro successi. Ieri sera mi sono messo in prima fila e ho assistito alla rappresentazione teatrale di Riccardo e del suo gruppo di teatro, dell'Associazione Ferrara OFF, coordinato da Roberta Pazi, ed è stata una soddisfazione genuina. Vedere dei ‘ragazzi’ che si sono tuffati nell’arena è stato inebriante. Un tonico. Ho sentito nelle parole dei loro personaggi energia, calore, emozione. Una finzione che sudava di verità. Sono bastate poche sedie per sembrare stanze, scale e palazzi di luce. Poche maschere, scarni costumi e belletti per sembrare persone di un altro tempo. Vere. Cuori umani dietro le quinte, cuori umani in sala, cuori umani sul palco, così recitava Victor Hugo a proposito di teatro e degli attori. E così ho preso quei cuori, li ho fotografati e ora ne scrivo per ricordarli come meritano, per i loro sforzi, impegno e successo. Grazie a tutta la compagnia per la schietta rappresentazione e grazie a te Riccardo di essere stato felice della mia presenza come lo sono stato io, orgoglioso, della tua rappresentazione. Oggi, per me, sei molto più del mio ‘ragazzo’. Stai pensando alla cosa più importante della tua vita: ‘trovare qualcuno con cui costruire una relazione sana. Concentrati! ‘
Ti stai chiedendo: ‘di cosa hai bisogno, realmente, e cosa cerchi?’ La risposta può essere molto semplice: ‘hai bisogno di stabilità e indipendenza emotiva!’ O molto più complessa, come: ‘cerchi fiducia, comunicazione, rispetto, stima, etc.’ In una relazione, stabilità e indipendenza emotiva, fanno comunque la differenza e sono senz’altro in cima alla lista di un rapporto sano. Da un certo punto di vista rappresentano valori seducenti per qualsiasi relazione. Come sempre, molto dipende da noi, dal come cerchiamo la felicità e dal come ci impegniamo a realizzarla. Dipende dalla relazione con noi stessi, dal come ci vogliamo bene, dal come ci prendiamo cura e soddisfiamo i nostri bisogni. Non dall’altro: da quanto è bravo, buono e bello. Siamo sempre noi, un ‘work in progress’, e fa una bella differenza cercare un partner perché ci ‘manca qualcosa’, la mezza mela che ci completa, oppure arricchirci dell’esperienza di un individuo che sta bene con se stesso, che ci tiene a costruire la sua vita e che è completo così com'è. Se così stanno le cose, non ammorbiamo l’altro con i nostri problemi irrisolti. Guardiamoci dentro. Osserviamo i nostri pensieri. Conosciamo la nostra mente. Se siamo annoiati, impariamo a divertirci. Se siamo soli, confortiamoci. Se siamo gelosi, rassicuriamoci. Smettiamo di controllare gli altri con comportamenti infantili e impariamo a gestire noi stessi. Impariamo tutto questo come frutto di un impegno ad essere migliori. Queste sono le cose più importanti in una relazione e valgono il migliore dei nostri investimenti: altro che vacanza super, macchina confortevole o vestiti alla moda. Ennesime discussioni, tensioni, dubbi, insicurezze.
La vita di coppia procede a salti, scosse e sussulti. La scarsa affidabilità verso il compagno fa dire alla donna ‘andrà come andrà’. Le aspettative la fanno dubitare sulla 'incontrollabilità delle circostanze’. E il timore di perdere il compagno e ricominciare da capo, le fanno alzare le difese fino all'indifferenza e al ‘chi se ne frega’. Insomma, riflessioni in decadenza. D’altra parte, stare sul ‘chi va là’, vivere nell'insicurezza, infelicemente, ha poco senso. Meglio un cane! Peccato l’allergia e le scatole di antistaminici. Ma il cane è comunque una buona idea di fedeltà e amore incondizionato! Ma un uomo normale, esiste? Dov'è andato a finire l’ottimismo per un progetto di coppia? Ci sono amici sposati felicemente che viaggiano sui social in caccia estrema. Amici che aspettano un figlio e cercano l’avventura. Fidanzati che ci provano a ogni piè sospinto. Certo, anche le donne vivono un momento di smarrimento. Vuoi perché non si accorgono di nulla. Alcune. Vuoi perché altre controllano, esplodono e inacidiscono. E allora cosa succede? E’ meglio ammazzare le aspettative o buttarsi sul lavoro? Certo lo scenario non è idilliaco e occorre rinforzare l’autostima. Ma come? Per esempio, si può dare un significato diverso alle cose che accadono; impegnarsi a fondo nella gestione del proprio tempo e attività; desiderare di tirare fuori dalle situazioni qualcosa di utile; cercare di migliorarsi. Insomma investire nel miglioramento della comunicazione con se stessi e dare fiducia alle opportunità. Questa è l’autostima che a volte serve: affrontare con chiarezza le circostanze, le difficoltà e i momenti bui. Mettendosi in gioco, senza buttarsi giù, riuscendo soprattutto a seguire quello che si sente e si pensa. Il brutto di certi momenti è di non riuscire a vedere la via di mezzo e pensare di lasciar perdere ogni cosa. Se ci pensiamo bene, però, e non si vuole 'buttare via il bambino con l’acqua sporca', spesso i problemi sono affrontabili e riguardano: la gestione del nervosismo, l’apprezzamento dei propri sentimenti, la difesa dei propri valori. Se la strada, alla fine, risultasse comunque improba, dietro l’angolo c’è sempre un cane pronto ad aspettare e scodinzolare. La cultura della sofferenza
In anni dove la psicologia terapeutica cerca nuove vie per descrivere la coscienza ed i suoi scopi (consapevolezza, volontà, razionalità, controllo emotivo, autostima, ‘Io forte’, etc.), altre figure professionali (Coach, Counselor, Pedagogisti, Filosofi, altri...), andando oltre le identificazioni che feriscono l’immaginazione, cercano con nuove parole e metodi di valorizzare le strutture archetipiche di comportamento e fantasia presenti nell'individuo e nella collettività. I motivi che spingono tante persone alla ricerca di un ‘aiuto' psicologico riguardano condizioni di disagio. L’umidità delle fantasie interiori, l’esperienza mistica, erotica, depressiva, gli aspetti infantili, la teatralità dei comportamenti, i livelli di esasperazione emotiva - in breve la ‘pazzia’ si scontra con l’incapacità di prendere le dovute distanze di fronte ai problemi di ogni giorno e di trovare risposte. La dimensione immaginale Nell'agire quotidiano di ogni individuo, pertanto, è emersa da tempo un’esigenza profonda: uscire dal concetto di un ‘malato che cerca una cura’ e di una ‘cura che guarda alla malattia’, alle sue contraddizioni e ai suoi sintomi, per immergersi in una dimensione immaginale. C’è una esigenza sempre più sentita di dare ai fatti mentali un nome diverso e una destinazione più originale. Immaginale appunto. ‘L’immaginale’ è il luogo dei sogni, dei momenti estatici, meditativi e simbolici. Esplorare le immagini mentali e vivere stati di rilassamento e trance, significa realizzare ‘il potere creativo del cuore’ attraverso un ‘Io che osserva e accoglie’ ogni possibile ‘al di là’ dell’esperienza. Relazioni, scopi, risultati I confitti li abbiamo tutti insieme alle nostre nevrosi e incongruenze, e forse non ne salteremo mai veramente fuori, ma di sicuro abbiamo bisogno di qualcuno che incoraggi la nostra fantasia e creatività a dare valore in modo pratico alle relazioni, agli scopi di ogni giorno e ai risultati che otteniamo; e dedicare attenzione ai simbolismi e a tutti quei processi che riguardano l’immaginazione, i sogni, l’eros, le emozioni, il corpo. Forza creativa Per tutti questi motivi, le nuove professioni hanno l’ambizione di seguire i processi per come si manifestano. Hanno lo scopo di unire la coscienza con il mondo e la natura, il corpo e le sue espressioni. Nel coaching per realizzare progetti concreti. Nel counseling per liberare, di fronte alle persone e al mondo, la propria natura dinamica e operosa. Nuove metafore per la rigenerazione della vita personale L’uomo, con la sua naturale ricerca di ciò che unisce, guarda alla liberazione da schemi e pregiudizi con un’attrazione speciale per i fatti umani, la coscienza e l’esperienza. Gli strumenti di tale pathos riguardano la dimensione immaginale, l’ascolto profondo, la compartecipazione, una vita appassionata, una sensibilità verso se stessi, gli altri e il mondo, un’azione amorosa nell'esprimere la propria volontà di essere e vivere. Disimparare ciò che è dato per scontato Per le nuove professioni lo sviluppo del pieno potenziale immaginale, significa ricercare luoghi dove la forza creativa viene presa sul serio e sperimentata in una prospettiva archetipica capace di rispondere ai problemi e far fronte ai propri bisogni. Non più parole come cura e malattia, quindi, ma osservazione delle immagini e ascolto dei sottili processi interiori. L’essere incompresi e non capiti ci fa sentire come le pagine di un libro non letto. Qualcuno legge il titolo, forse la prefazione, al massimo l’indice, ma nulla di più. E ci dispiace che qualcuno non riesca o non voglia fare lo sforzo di una conoscenza più approfondita.
Capita al lavoro, in famiglia, ma direi in ogni relazione che ciò accada e sia fonte di malintesi. Non ci si capisce. Il fatto è che i problemi di comunicazione sono tra i problemi più invalidanti per il nostro benessere personale. Non essere capiti o non riuscire a farsi capire ci fa arrabbiare, ci isola, ci annienta. Dove sta il problema? Che gli altri ci giudicano per ciò che percepiscono del nostro comportamento. Ergo, è un nostro problema se mandiamo un messaggio piuttosto che un altro. Vediamo allora cosa dobbiamo tenere ben presente quando comunichiamo. Le persone, gli altri, ci giudicano per quello che ascoltano, vedono, sentono. Così possiamo essere percepiti come difensivi (‘sembri prenderla male quando si tratta di ricevere un feedback), presuntuosi (‘non ascolti quello che ti viene detto’) o aggressivi (‘basta poco per farti arrabbiare’), etc. Dietro i nostri comportamenti ci sono sensazioni, azioni e reazioni, c’è una storia, che una persona non è obbligata a conoscere. Gli altri vedono semplicemente le nostre sintesi. Per questo, storia e percezione seguono destini diversi e gli altri non hanno il tempo di 'psicoanalizzarci'. Gli altri vedono il trailer e adottano delle scorciatoie inevitabili. Si chiamano euristiche. Pensiamoci, chi ha il tempo di raccogliere più informazioni prima di giudicare? Vogliamo cambiare le cose? Proviamo a cambiare ciò che le persone percepiscono. Miglioriamo la nostra influenza. Andiamo più in profondità nelle relazioni umane e poniamoci due belle domande: - In che modo il nostro comportamento influenza il comportamento degli altri? - In che modo il comportamento delle altre persone influenza il nostro comportamento? Quindi la prossima volta che qualcuno pensa che noi siamo come siamo, guardiamoci interiormente e prendiamoci la responsabilità di averglielo fatto credere. Monitoriamo il nostro comportamento al meglio e cerchiamo di aumentare la consapevolezza di come gli altri ci percepiscono. La domenica è il momento peggiore. Le ore di quei pomeriggi sono interminabili. Sono quelle giornate dove si sente la mancanza di qualcuno con cui condividere la gita, il sole, le coccole.
Durante la settimana non si sente la mancanza di nulla. C’è un’organizzazione molto accurata del tempo: lavoro, amici, palestra, impegni vari. Ma la domenica, no! A volte, si sente la tristezza con destinazione divano, altre volte la rabbia con il desiderio di strafare e altre ancora il dispiacere del non vivere. Insomma, ansia della domenica. Ansia del giorno dopo. Ansia del futuro. Avere o non avere un fidanzato assume le facce di un desiderio legittimo, di un problema di organizzazione del tempo e, più profondamente, di una migliore gestione dei propri bisogni e sogni di libertà. Ma vediamo le sfide preganti che si incrociano la domenica: - vivere meglio l’accelerazione delle emozioni; - stare bene con se stesse a casa; - non dipendere dagli altri; - gestire gli stati interni di tristezza, rabbia, delusione; - accettare la complessità delle proprie consapevolezze, azioni e reazioni. Sperimentare con leggerezza i giudizi che non portano allegria; accettare e convivere con i propri sbalzi d’umore, sia che si esca, sia che si rimanga a casa; sperimentare il potere delle proprie emozioni in un modo da zittire il brusio di amici e conoscenti che, nel sottobosco, parlano e giudicano. Ma soprattutto, si può tollerare tutto questo? E a cosa può essere utile? Si possono gestire le proprie reazioni e diventare simpatici alle possibili relazioni? Magari togliendo le cuffie in palestra, scambiando due chiacchiere, chiedendo alla vita una seconda possibilità? Probabilmente, sì! Si parla spesso di come migliorare e crescere, di avere più autostima, ma allora l’obiettivo non è riempire la domenica, ma ridurre l’impulsività o il giudizio su di sé - piacerò/non piacerò; limitare la paura di dipendere dall’altro e di sbagliare, rendere piacevoli i propri programmi e cercare, con decisione, tutte quelle cose che sono appena oltre le nostre zone di comfort. Ci riusciremo? Me lo auguro! Sapere di avere un potenziale non basta. Bisogna esercitarlo costantemente, perché la vita è tutta una sfida. Così lo è studiare, fare uno sport, dedicarsi ad una passione, finire l’università, affrontare una carriera, superare un lutto … in pratica, vivere.
Sto pensando a quel ragazzo di 16 anni che si è chiuso in casa, che studia solo se sollecitato, che vive di giochi e musica, e poco altro. A quella ragazza di 30 anni che vive dignitosamente la ricerca di sicurezza attraverso un lavoro, gli affetti e la possibilità di valorizzare alcune passioni, ma è piena di paure e dubbi sulle proprie scelte e sul proprio futuro. E a tante altre persone che sono in mezzo alle acque e non sanno come camminarci sopra. A tutte queste realtà, manca sempre qualcosa: una guida, un’esperienza, un contesto, un’opportunità, un successo, un feedback. Manca l’aggancio a una mentalità che valorizzi il percorsopiù dei sogni, la concretezza del fare più della paura. E allora bisogna essere bravi a riformulare le proprie esperienze, i propri modelli di pensiero e tramutarli in lezioni. Centrati sulla costruzione del proprio futuro. Quel futuro che già adesso può essere focalizzato, realizzato e sviluppato attraverso piccoli traguardi. Se non ci riusciamo da soli, abbiamo bisogno di circondarci di persone che già posseggono le cose che cerchiamo e che seguono una direzione precisa. Invece di sentirci sopraffatti da ciò che accade lungo la strada e dormire sul divano, sperando che i nostri desideri ci bombardino di regali, occorre muoversi nella direzione di alcuni obiettivi pratici. In ogni momento, ci sono troppe variabili - e scuse - da considerare e gestire, ma studiare, fare esercizio fisico, scrivere, dipingere, incontrare persone, cercare di migliorarci ogni giorno dipende da noi e per questo possiamo fare molto. Se ci rendiamo conto che il nostro futuro dipende da noi è più facile valorizzare il mestiere di essere e di vivere. Alleniamo l’umiltà, la dedizione, la disciplina e la libertà creativa, piuttosto che la falsa fiducia, l’egocentrismo, il narcisismo o le drammaticità esuberanti. Diamo un valore alle cose che amiamo e diamo concretezza al nostro fare. Vivere non è un test o un titolo che si acquisisce solo per il fatto di esserci, è un’opportunità che non va sprecata. E’ un regalo che ci ricorda che può valere la pena di ‘cambiare mentalità’. Mentre sviluppiamo i nostri corsi ci chiediamo spesso cosa possa aiutare a raggiungere un obiettivo, migliorare un atteggiamento o rendere le nostre abitudini più efficienti.
E allora, la domanda che ci si pone è: ‘quali sono le leve più importanti che dobbiamo stimolare?’ Abbiamo individuato nei termini ‘desiderio, motivazione, forza di volontà e intenzione’ le chiavi di maggiore interesse per questo tema, ma quali sono le strategie per accrescerle. Sappiamo che tutte agiscono e hanno il loro grado di importanza nella scala funzionale che ci porta ad un risultato. Ma cosa fa la differenza? Il desiderio viene stimolato attraverso un impulso dell’io che si dirige verso un oggetto esterno, qualsiasi esso sia, che ha la capacità di suscitare sensazioni forti, piacevoli e/o spiacevoli. In questo caso, la fantasia e l’immaginazione giocano un ruolo rilevante. La motivazione è sollecitata da bisogni, valori e, di conseguenza, mete, che si traducono in comportamenti effettivi. La forza di volontà e l’intenzione, invece, rappresentano l’apice di una organizzazione mentale volta a pianificare, strutturare e raggiungere uno scopo preciso. Se fossimo una macchina potremmo dire che il desiderio è l’accensione, la motivazione sono le marce, la volontà è il volante che segue la strada e l’intenzione è il ‘tom tom’, la mappa che abbiamo impostato per arrivare a destinazione. Ebbene, quello che funziona effettivamente è decidere in anticipo quando e dove intraprendere azioni specifiche. Quindi, è più facile realizzare un obiettivo se lo dichiariamo, se formuliamo un piano preciso, se lo scriviamo e se lo immaginiamo vividamente. Questo dobbiamo fare: dichiarare esplicitamente i comportamenti che desideriamo realizzare, motivarci ed entrare in sintonia con gli obiettivi che ci prefiggiamo. Dobbiamo solo pianificare bene il ‘quando’ e il ‘dove’, e cioè sciogliere i nostri dubbi su cosa sia rilevante: è urgente o importante? Andare in piscina, come mi diceva un mio cliente, o comprare il ‘flessibile’ per il lavoro? E noi, da quale parte metro pensiamo di trovarci? Possiamo pensare a qualcosa di molto preciso che pensiamo di realizzare proprio oggi? Quando si ama, ci si lega ad un altro essere umano e, come nella combinazione dei composti chimici, si desidera saturare la parte più alta della corona.
Il legame nasce da un’energia generativa le cui potenzialità conducono al piacere, alla riproduzione di un altro essere umano, alla nuova nascita di se stessi come individui consapevoli. Nell’amore facciamo esperienza del bicchiere mezzo pieno di attrazione, sesso, affetto, comunicazione, estasi, e mezzo vuoto di attaccamento, possesso, illusione, controllo, vincolo. Probabilmente è per questo che siamo così attratti dalla dimensione dell’amore e ne siamo afflitti nel contempo. Nel profondo di ognuno di noi proviamo l’amore come opportunità e libertà, attaccamento come urgenza e a seguire colpa come incapacità. E’ come se il desiderio di crescere dovesse passare attraverso la conoscenza profonda di qualcuno, dall’esperienza della propria unicità, dalla consapevolezza delle proprie paure. Compresa quella della solitudine e dell’essere soli. Quando due persone si incontrano con le loro urgenze e le loro aspettative, quello che trovano nel legame non è l’amore, ma l’attaccamento, la soggezione, l’obbligo. E’ così che molte coppie, dopo aver sperimentato il loro sogno, si ritrovano a soffrire e a ribellarsi rendendosi conto che il loro bisogno d’amore è diventato attaccamento e controllo. Per amare si ha bisogno di una certezza: sapere che si può bastare a se stessi. Che si può essere liberi dentro un legame, avendo la possibilità di sperimentare una profonda comprensione di se stessi e dell’altro. E’ con questa maturità che possiamo evolverci nelle relazioni e che possiamo uscire da situazioni difficili, anche quando non ci si ritrova più, non solo nei fatti della vita, ma nella prospettiva dell’amore e nella propria libertà di scelta. Chi si affaccia al mondo del lavoro scopre che cercarlo è già un lavoro. Emoziona, turba e non si è mai sufficientemente preparati. Alla ricerca ingenua di interlocutori disponibili o di clienti affezionati, si può sbattere contro un muro di sfiducia, sospetto, diffidenza. Ahimè, ho visto molte persone deprimersi nella ricerca della cosa giusta da intraprendere per mancanza di esperienza e conoscenza di come va il mondo.
Chi cerca un lavoro, oggi, non lo trova se non caccia, o piuttosto se non pesca tra le opportunità. Il mondo così come lo conosciamo, ha reso inutili arco e frecce ed è diventato liquido. Per questo occorre fare un bel tuffo dentro di sé e scoprire, trovare e recuperare, il ‘pesce d’oro’. Per la stragrande maggioranza dei ‘cercatori d’oro’, un diploma o la laurea, da sole, non bastano più a trovare un lavoro o a costruirsi una reputazione. Figuriamoci per chi ha solo un diploma e scarse competenze tecnico-professionali. Oppure chi non ha maturato una buona dose di competenze trasversali come l’autocontrollo, la fiducia in sé, la flessibilità o la capacità di allineare i propri comportamenti alle necessità. Direi che non si va molto lontano senza requisiti minimi! Infatti, troviamo ragazzi con buoni curriculum, con tanti sogni e il desiderio di vivere una vita di qualità superiore, ma che non hanno le idee chiare sul come individuare il lavoro ’ottimale’. Trovare un lavoro, quindi, per chi lo cerca e/o desidera riqualificarsi, è in sé una prova. Individuare il proprio profilo professionale e aggiornare il proprio curriculum, è certamente un modo per ‘agganciare’ possibili opportunità. Ma formarsi e crescere come persone è il vero carburante delle proprie aspirazioni. Il problema allora consiste nel fare esperienza di come vanno le cose dentro di sé. Alzarsi la mattina, buttare giù la propria lista dei ‘cosa so fare’ e di cosa ci rende un po’ speciali, è un buon inizio. Telefonare a persone interessanti, che migliorano la rete delle conoscenze personali, può aiutare a migliorare i propri progetti e idee. Fare qualcosa che piace, ogni giorno, aiuta a dare concretezza all’espressione creativa di sé. Alcune di queste cose le abbiamo certamente in nota, ma si tratta di metterle in pratica capendo in che modo potremo essere utili, agendo da persone motivate, in grado di spiegare a chiunque qual è il nostro progetto e cosa siamo intenzionati a fare. Ci va di tenere un piano operativo? Di comunicare con persone di qualità? E dedicarci a cose che ci piacciono e che siamo in grado di tradurre in opportunità? Se è così, metà lavoro è fatto! Siamo dalla parte di chi il lavoro lo cerca. E probabilmente lo trova. Quando si incontra l’amore si vive un’esperienza travolgente a cui non si può dire di no. Si percepisce una forza dirompente, trascinante, magica.
E non ci si sente in colpa verso il marito o la moglie traditi, perché non è tradimento, ma rapimento, non è contro qualcuno, figli o compagna, è estasi, trance, contemplazione. Quando però la parabola dell’amore cerca radici e si impongono scelte, tutto si trasforma. Ogni amante sa che la strategia di ‘vivere momento per momento’ può durare mesi e anni, ma sa anche che prima o poi, si tocca il freno delle responsabilità. E dentro la cornice della responsabilità ci sono da gestire tante cose: i comportamenti e le reazioni dell’amata, ma anche le angosce di scelte interiori molto difficili. Separazione dall’amore, quindi? O separazione dai legami strutturati? Come superare la paura di far soffrire l’altro o gli altri’? Come affrontare le pene d’amore che si trasformano in mostri, in virago, come la separazione, il lutto dell’altro e il lutto da sè. Felicità e sofferenza vanno insieme, ma come si possono sacrificare la sensibilità, l’umanità e la partecipazione di una vita? Scelte difficili, dunque, se la situazione non evolve. Da una parte ci si sente fermi, la vita non procede e si cercano nuove definizioni: siamo amanti o cosa siamo? Dall’altra, c’è la recita dell’armonia. La domanda diventa allora, come piacerebbe che evolvesse tutto questo? Come prepararsi a diversi possibili scenari che, comunque vada, sono il lutto di qualcosa di molto importante? L’amore è libero e deve permettere di crescere, ma quando l’amore si esaurisce nelle domande, quando stanca e fa soffrire … è cominciato un altro film: inizia il tempo del superamento della dipendenza emotiva. Nell’illusione di avere sempre più cose, da accumulare, da possedere, e che sono lì a portata di mano, copiose, abbondanti, generose, ci stiamo accorgendo che non aggiungono nulla alla nostra persona. Non ci migliorano, non ci realizzano, non ci maturano. Talvolta nemmeno ci aiutano a raggiungere i nostro obiettivi quotidiani. Pensiamo alla qualità del sonno, all’attività fisica o a una dieta sana. O in generale, alla fatica di preparare il corpo per l’estate, invece di allenarlo perché è quello che siamo.
Diciamo che ci sono delle abitudini che se vengono migliorate con qualche no ben assestato, ci avvicinano all’idea di una vita di maggiore qualità. E quali sono questi ‘no’ ben assestati? Ad esempio, rinunciare a una mentalità a breve termine per porsi obiettivi più distanti. L’idea è guardare più lontano. Se desidero redigere un articolo, scrivere un post o iniziare un nuovo lavoro, l’obiettivo più ambizioso è scrivere un libro, realizzare un blog, fare un corso di formazione. Si tratta di rinunciare a giocare in piccolo e dar voce alle proprie idee, permettendo ai nostri sogni di realizzarsi grazie al respiro del nostro potenziale. Certamente si tratta di non aver paura di riuscire. Quindi bando alla scuse e impariamo a giocare bene le nostre carte. Prendiamo in mano la nostra vita personale e professionale perché ne siamo responsabili e perché nessuno lo farà al nostro posto. Abbandoniamo l’idea che non possiamo cambiare e migliorarci. Impariamo a lavorare in modo efficiente per l’oggi, sapendo che domani, con nuove percezioni, esperienze e competenze, saremo diversi. Rinunciamo al perfezionismo, perché niente potrà mai essere veramente perfetto. Rifiutiamoci di fare troppe cose insieme. Le cose veramente importanti hanno bisogno di tutta la nostra attenzione. Rinunciamo alla necessità di controllare tutto, perché non tutto dipende da noi e troppe cose hanno bisogno di essere viste da una prospettiva lungimirante. Smettiamo di dire dei sì a compiti, ad attività e richieste, che non sentiamo coerenti con i nostri bisogni e scopi. Questa è una parte molto difficile quando dobbiamo dire no ai nostri cari, agli amici o ai colleghi, per obiettivi che richiedono tutta la nostra attenzione. Infine, rinunciamo alle persone negative che hanno sempre un problema per ogni soluzione. Abbandoniamo l’idea di piacere a tutti e rinunciamo, soprattutto, a perdere tempo alla TV, sui social o a zonzo. Il tempo è una risorsa limitata e preziosa e noi abbiamo ancora un sacco di cose da fare. O mi sbaglio? Ogni giornata può essere ricca di stimoli. Ogni libro può fornirci spunti di riflessione. Ogni corso cui partecipiamo può migliorare le nostre abitudini. Dobbiamo avere le antenne alzate e buoni sistemi di rilevazione per trovare stimoli veramente importanti.
Infatti, ogni giornata può passare senza avere imparato nulla di nuovo, possiamo aver letto un libro senza ricordare nulla di significativo, un corso può averci lasciato solo qualche informazione e poche motivazioni. E allora, in mezzo all’accumulo di stimoli e possibilità, dobbiamo tenere alta la guardia su due cose: sull’ottenere il massimo dalla giornata, da un libro o da un corso, e renderlo pratico nel modo più focalizzato e rapido possibile. Come farlo? Si tratta di selezionare quella importantissima idea che da sola premia quell’associazione, quella lettura, quell’investimento. Dobbiamo individuare quel modello, quella tecnica o quel processo, che da solo valga il biglietto della ‘giornata’. Può essere, a titolo di esempio, che ‘il contenuto che scrivo in un post, in una lettera o in un libro, risulti ricco di stimoli, ma diventi noioso se non riesco a creare una buona connessione’. Il problema in questo caso diventa: ‘come posso trasferire l’idea di connessione alla mia vita, al mio lavoro, alla mia crescita, agli altri?’ Se riesco a creare un ‘carattere’ che esprima una forte personalità e che traspaia nei post, nelle mail, nella frequenza di un corso, può essere l’idea vincente che mi ripaga delle energie impiegate. Naturalmente, quell’unico concetto, quella strategia, quel processo, diventano d’oro se si trasformano in azioni e risultati. Si tratta ‘solo’ di assecondare gli sviluppi di scelta e intuizione, metterli in pratica e diventare maestri di buone idee. E tu, ‘quale grandiosa idea ti appresti a scoprire oggi?’ Ogni giorno è ricco di scadenze, esami, bilanci, valutazioni. Ogni periodo ci sottopone ad analisi, osservazioni, verifiche. Ogni giorno c’è qualcosa su cui procrastiniamo. Se va bene facciamo le cose all’ultimo minuto utile, se va male rimandiamo a un momento più adatto. Ma mi chiedo: ‘qual è il momento più adatto per fare le cose?’ Non è meglio imparare ad anticipare? E come farlo eventualmente? Sulla soglia del nostro fare, c’è sempre qualcosa che rinvia, ritarda, dilaziona. Sono le paure (del successo, di sbagliare, del giudizio, dell’ignoto), il perfezionismo, lo stile di gestione dei problemi, la pianificazione degli impegni, le aspettative irrealistiche, la bassa autostima, la mancanza di scopo e direzione, a limitare la nostra efficienza. In effetti, se pensiamo a tutte queste componenti e alla loro attivazione o disinnesco, siamo scoraggiati prima di iniziare qualsiasi cosa. E allora può soccorrerci un piccolo ma significativo cambio di mentalità e approccio. Iniziamo con il pensare solo alla giornata in corso. Questo ci permette di realizzare due risultati: non ci sovraccarica di responsabilità e miglioriamo ogni giorno con nuove abitudini. Impariamo a dedicare alcuni minuti alla visualizzazione di una giornata ideale (rituale mattutino, obiettivo della giornata, spazio di lavoro, persone che incontriamo). Insomma tutto ciò che è utile per suggerire al nostro motore interiore la direzione corretta della giornata. Facciamo tante piccole cose ognuna delle quali rappresenta il gradino della scala che ci siamo prefissati. Sono quei piccoli passi, quei dieci quindici minuti di attività, che ci portano giorno dopo giorno, allenamento dopo allenamento, a mettere insieme tante piccole cose fatte bene. Quando iniziamo qualcosa facciamolo subito, bastano uno o due minuti per iniziare una nuova abitudine ed entrare in un flusso di lavoro. Implementiamo un metodo più efficace per evidenziare ciò che realizziamo. Scriviamolo, attacchiamolo al muro se serve, mettiamocelo davanti agli occhi. E poniamo una x su tutte le piccole cose che concretizziamo. Prendiamo il bicchiere mezzo pieno della procrastinazione e impariamo a rimandare un comportamento negativo a domani. E’ un buon modo per intaccare le piccole abitudini negative. Infine, cerchiamo conferme e feedback positivi per i nostri piccoli raggiungimenti. Il riconoscimento che ne ricaviamo è un’ottima leva per affrontare e superare le nostre difficoltà. Che dire, piccole azioni, piccoli passi, grandi risultati. Cominciamo dalle piccole cose, concentriamoci sulla quantità, se serve ad avvicinarci a ciò che è importante per noi. La qualità verrà dalle buone abitudini che avremo tonificato. Scopri come rendere tutto più interessante --> Ragionaci su Per crescere abbiamo bisogno di creare, di gestire meglio il tempo, di fare spazio e di sognare.
Quando pensiamo ad uno scopo, facciamo chiarezza o esercitiamo la concentrazione, stimoliamo canali di connessione profonda con i nostri desideri e bisogni più reconditi. Sogniamo, e in quei sogni corriamo, meditiamo, scriviamo, creiamo, ci evolviamo. Crescere allora può e deve essere il nostro obiettivo primario. Per realizzarlo abbiamo bisogno di esercitare la nostra creatività e produttività al meglio. Siamo fatti per costruire. Ci sentiamo utili quando inventiamo. Ci sentiamo ‘centrati’ quando lo facciamo. La nostra energia circola meglio quando siamo creativi. Quando reinventiamo le nostre vite, quando raccontiamo nuove storie, il nostro mondo si arricchisce e ci restituisce stima, ispirazione, speranza. E questo è il frutto della nostra creatività e immaginazione. Per questo, dobbiamo diventare così capaci e così bravi da non essere ignorati e sottovalutati, né da noi stessi né dagli altri. Dobbiamo solo trovare le migliori condizioni nelle quali esercitare la creatività quotidianamente e in modo generoso. Nel master che dedichiamo alla crescita personale pensiamo di aver realizzato delle condizioni ottimali per questo. Condividiamo generosamente le nostre esperienze, ci interessiamo di qualsiasi cosa emerga, facciamo il possibile per allenare modelli di riflessione diversi dai nostri, ma soprattutto ci esprimiamo, ci esercitiamo, comunichiamo, parliamo, realizziamo, scriviamo, pubblichiamo. Il tutto allo scopo di permettere al nostro sé più prolifico di essere coerente nell’azione. Il successo arriverà quando l’obiettivo non sarà la perfezione ... ma il progresso e l’automiglioramento, quando non si cercherà la conoscenza assoluta ... ma l’esperienza del comunicare, non l’essere meglio di ... ma dell’agire comunque, non dell’essere completi e perfetti ... ma di riuscire a mostrare comunque il proprio lavoro. L’atteggiamento auspicato sarà quello dell’artigiano che si avvicina alla propria opera come un vero artista. E tu, da artista, come pensi di impiegare i prossimi mesi per far crescere il tuo progetto più ambizioso? Hai qualche idea per nuove sfide creative? Ti ricordo che se non si inizia a sognare per vivere ora, prima o poi, ci ritroveremo a sognare di vivere. Gli altri sono una risorsa per ognuno di noi. Le loro chiacchiere, il loro affetto, il loro sorriso, il loro corpo, il loro abbraccio. E ci danniamo un sacco per creare buoni rapporti di famiglia, vicinato, amicizia, lavoro. Ma capitano anche periodi in cui non si ha voglia di parlare con nessuno, di vedere nessuno, di uscire con nessuno.
Talvolta è il nostro carattere timido a prendere il sopravvento, a volte siamo delusi da rapporti superficiali, talaltra siamo stanchi, con le batterie a zero, depressi. In ogni caso i motivi sono buoni per non comunicare. ‘Non ho voglia di aprirmi’, dice il timido, ‘non ho voglia di essere criticato’, dice il deluso. ‘Non ho voglia di lamentele e giudizi’, dicono la maggioranza. Sappiamo che il pettegolezzo (a piccole dosi, ‘altruista’ per così dire) è un ottimo strumento anti-stress. Tutti lo pratichiamo con lo scopo di mitigare le azioni sbagliate degli altri e talvolta per sogghignare e farci quattro risate. A dosi massicce, però, diventa l’esercizio di un’invidia malevola sulla reputazione del malcapitato, a cui non mancherà l’occasione di ricevere la critica dei colleghi, il giudizio dell’amico, le maldicenze della gente. Tutto questo a volte è troppo e così perdiamo la pazienza per il cinismo altrui, le critiche eccessive e le richieste di qualsiasi natura. Perdiamo la voglia di compiacere chi non ci aggrada, di amare chi non sa amare, di sorridere a chi non ci sorride. Non ci accontentiamo più del provincialismo e dei pettegolezzi. Non sopportiamo più le persone rigide e inflessibili. Vogliamo lealtà, sicurezza, incoraggiamento! Insomma, ci sono buone ragioni per dire ‘interessante quello che dici, ma dimmi qualcosa che mi interessi davvero!’ Dovunque andiamo nella vita lasciamo cose e parole: battute di spirito, chiacchiere, conforto. Ovunque lasciamo il nostro segno. Tutti questi segni sono ciò che noi siamo. Proviamo a lasciare buone impronte che valgano la pena di essere ricordate. E permettiamo a noi stessi di esprimere chi siamo con qualità emotiva. Oggi, per esempio, al bar, dal parrucchiere, al lavoro, in casa, cominciamo col pronunciare correttamente il nostro nome. E’ un buon inizio. Ci sono persone speciali che costruiscono, incessantemente, cose, progetti, amori. Persone straordinarie che hanno fatto tutto: laurea, musica, sport, progetti di vita e lavoro, famiglia, figli, viaggi e sono alla ricerca di cose ancora più stimolanti. Non sono mai paghe.
Ci sono persone eccezionali invidiate per la loro capacità di vivere intensamente la vita, ma che faticano a stare nelle pause, nella vita piatta, nelle strade di mezzo, nel vuoto interiore che talvolta fa capolino. Le persone speciali vivono la vita come un arcobaleno perché hanno saputo, a dispetto di esperienze difficili, trasformare le loro paure in coraggio. Dicono quello che pensano, si mettono in gioco ogni volta in modo diverso e vogliono guardare le stelle. Vogliono cambiare il mondo. Ogni momento è unico e l’attesa uno spreco, una noia, un niente. E così, quando il vuoto presenta i suoi lati nascosti e diventa dolore, ci si interroga: ‘cos’è quel vuoto che tanto mi spaventa?’ In molti casi, il vuoto è l’elemento chiave di alcuni disturbi: narcisismo (incapacità di comprendere i propri bisogni affettivi esclusi dall’idea di un sé grandioso), depressione (perdita dell’oggetto amato e incapacità di recuperarlo), borderline (cornice di una instabilità a più livelli: emotiva, cognitiva, comportamentale), alimentazione (con il rifiuto del cibo, si sperimenta la mancanza e il controllo). All’esterno, la persona speciale, sembra non avere difetti o problemi, profuma di immediatezza, spontaneità, unicità. Crea un’invidia da far battere il cuore in amore e ammirazione. All’interno, però, c’è un vuoto che dice: ‘Apri, dai. Entra! Soffermati, riconosci le mille emozioni del silenzio, dell’attesa, del caos, del ricordo. E può affiorare di tutto quando l’uomo speciale si ascolta e sente le sue emozioni e pensieri barricati. Gli spazi vuoti, gli orizzonti vuoti, le pianure vuote, tutto quello che è spoglio impressiona, ma quel vuoto siamo noi. E’ un vuoto che esprime una qualche mancanza. E’ un vuoto esatto che è inutile riempire con troppa altra roba: sesso, potere, denaro, perfezione. Per colmare quel vuoto è necessario inserire ciò che l’ha causato. Se lo si riempie con qualsiasi altra cosa, il vuoto dilaga. Ecco allora uno sguardo nuovo con cui esplorarlo: si fissa quel vuoto, si guardano le luci che non c’erano e si beneficia dei loro riflessi. Quando le cose vanno male e c’è un obiettivo che ci interessa, la sopravvivenza, viene voglia di suonare l’allarme, di chiamare lo staff, di reagire.
Però non si vuole inviare segnali di pericolo, perché tutti capirebbero che siamo in difficoltà. Non si vuole suonare le sirene, si vuole solo identificare il problema e risolverlo. Si vuole ridurre in polvere quell'intelligenza malata che ha creato la grana. Si vuole solo guardare in faccia il problema e distruggerlo. Non serve prendersi del tempo per ascoltarsi. Semplicemente non funziona. E’ tutto dipeso da noi, dalle nostre scelte. Noi abbiamo sbagliato e adesso siamo ingenuamente pronti a pagare. Non ci siamo ascoltati, non abbiamo valutato a fondo, non abbiamo deciso con uno sguardo al futuro, e adesso la realtà è quella che abbiamo di fronte. Non ci piace! Sembra finita. L’impulso non si riavvia, non c’è segnale, c’è solo panico. Abbiamo preso decisioni e abbiamo compiuto azioni che oggi si ritorcono contro di noi. Non avremmo voluto, ma è successo. I nostri sensi non ci hanno avvertito della vulnerabilità di certe situazioni e tutto si è fermato. Le idee, i progetti e le energie si sono incagliate. Dentro di noi è successo qualcosa che ci ha destabilizzato mentre la realtà ci ha spenti: gli altri si sono allontanati, la moglie si è distanziata, i figli ci hanno respinto, il lavoro non è ripartito. Non è sempre stato così, in passato si è cercata una mano, si è inseguito il paradiso, si sono trovate le sicurezze. Ma mentre le garanzie, ora, non ci sono più e si combatte il dolore, ci si accorge che non si può fuggire. Bisogna andare incontro all’inevitabile, si deve affrontare tutto. Non c’è altra possibilità! Si conosce l’albero, i rami si estendono in ogni direzione, si riescono a vedere le cose per quello che sono. Tutto diventa chiaro. Dove c’è salvezza c’è premio, ma anche perdita. Disgraziatamente, è facile distruggere un equilibrio, bastano i giusti mezzi, ma è ora di cambiare. Possiamo farlo! Lo abbiamo fatto innumerevoli volte, abbiamo affrontato i mostri e ci siamo sentiti veramente umani. E’ ora di ripartire! |
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