
Con il mutare delle professioni e dell’organizzazione del lavoro, si sta cercando di capire sempre meglio come stabilire un prezzo alla felicità materiale e psicologica del proprio lavoro. Il tutto associato alle emozioni, ai sentimenti, alle aspettative, agli atteggiamenti, ai comportamenti individuali che tale percezione induce.
Generalizzando, si tratta di valutare se il nostro stipendio, interesse o soddisfazione, sono adeguati rispetto a una serie di fattori chiave, come ad esempio i progetti che formuliamo, le responsabilità che pensiamo di gestire, le competenze che possediamo, le capacità che ci riconosciamo, l’esperienza maturata negli anni e i nostri potenziali beneficiari.
Nelle aziende ci sono modi sempre più sofisticati per valutare i parametri del valore. Sono i 'progetti', i 'costi di gestione', il 'clima aziendale', la 'leadership'. Ma nel privato e nelle professioni intellettuali, la valutazione dei propri sacrifici risulta decisamente più difficile. Spesso si guadagna poco e si rinuncia a molto. Il costo orario oscilla dai 2€ ai 100€, a seconda delle professioni.
Ci sono lavori che si fanno a costo di pura sopravvivenza (2/5€ l’ora). Altri che usurano dentro e non hanno prezzo. Lavori intellettuali, mal pagati, che corrono sul filo della conoscenza e della ricerca e attività monotone che servono per sopravvivere (in media 30€/50€ l’ora). La molteplicità.
Sia per il dipendente, il libero professionista o l’artista, la domanda è: ‘quanto costa ogni mia ora di lavoro? La devo valutare come incombenza quotidiana, come attività senza vincoli, come missione o come scambio?’
Alla fine dei conti, dentro di noi, abbiamo dei criteri per valutare ciò che è produzione meritevole di guadagno. Ciò che disturba è avere aspettative frustrate da una produttività reale di poche ore al giorno, pochi manufatti o pochi appuntamenti in agenda.
Se si lavora in azienda, tutto può finire nella zona di confort o nei piani alti della sfida, ma se si lavora da soli e magari si svolge una attività libero-professionale, la sensazione di lavorare senza progetti chiari, o senza guadagno, è deprimente. E non basta l’idea di spendere bene il tempo per la formazione, il marketing o l’immagine professionale, perché quello stesso impegno ha necessità di essere riconosciuto da risultati tangibili.
E allora, quanto vale il nostro tempo? Mi soffermo su due stati. Sulla preziosità di ciò che sentiamo quando lo impieghiamo: movimenti energetici, stati mentali creativi e di benessere, risate, azioni responsabili, progetti. Sulla capacità di rinuncia quando quel sentire viene governato da valori che non sono ancora giunti a maturazione.
Generalizzando, si tratta di valutare se il nostro stipendio, interesse o soddisfazione, sono adeguati rispetto a una serie di fattori chiave, come ad esempio i progetti che formuliamo, le responsabilità che pensiamo di gestire, le competenze che possediamo, le capacità che ci riconosciamo, l’esperienza maturata negli anni e i nostri potenziali beneficiari.
Nelle aziende ci sono modi sempre più sofisticati per valutare i parametri del valore. Sono i 'progetti', i 'costi di gestione', il 'clima aziendale', la 'leadership'. Ma nel privato e nelle professioni intellettuali, la valutazione dei propri sacrifici risulta decisamente più difficile. Spesso si guadagna poco e si rinuncia a molto. Il costo orario oscilla dai 2€ ai 100€, a seconda delle professioni.
Ci sono lavori che si fanno a costo di pura sopravvivenza (2/5€ l’ora). Altri che usurano dentro e non hanno prezzo. Lavori intellettuali, mal pagati, che corrono sul filo della conoscenza e della ricerca e attività monotone che servono per sopravvivere (in media 30€/50€ l’ora). La molteplicità.
Sia per il dipendente, il libero professionista o l’artista, la domanda è: ‘quanto costa ogni mia ora di lavoro? La devo valutare come incombenza quotidiana, come attività senza vincoli, come missione o come scambio?’
Alla fine dei conti, dentro di noi, abbiamo dei criteri per valutare ciò che è produzione meritevole di guadagno. Ciò che disturba è avere aspettative frustrate da una produttività reale di poche ore al giorno, pochi manufatti o pochi appuntamenti in agenda.
Se si lavora in azienda, tutto può finire nella zona di confort o nei piani alti della sfida, ma se si lavora da soli e magari si svolge una attività libero-professionale, la sensazione di lavorare senza progetti chiari, o senza guadagno, è deprimente. E non basta l’idea di spendere bene il tempo per la formazione, il marketing o l’immagine professionale, perché quello stesso impegno ha necessità di essere riconosciuto da risultati tangibili.
E allora, quanto vale il nostro tempo? Mi soffermo su due stati. Sulla preziosità di ciò che sentiamo quando lo impieghiamo: movimenti energetici, stati mentali creativi e di benessere, risate, azioni responsabili, progetti. Sulla capacità di rinuncia quando quel sentire viene governato da valori che non sono ancora giunti a maturazione.