
Siamo impazziti se non tolleriamo più la sofferenza altrui e la nostra? Non sopportiamo la confusione di viaggi imbottigliati nel traffico? Di bambini urlanti e fastidiosi per il caldo rovente? Di provare ansia, fino al panico, in presenza di troppi stimoli?
Siamo meno umani, se evitiamo le richieste di persone care che ci chiedono di fare cose che percepiamo pesanti: occuparsi di tutto, girare nel traffico, sotto il sole, nel caos? Siamo matti? O semplicemente, siamo diventati più sensibili? Più ansiosi e vulnerabili?
Spesso abbiamo bisogno di chiudere gli occhi, di rilassarci e di stare tranquilli. Se non lo facciamo, se non diciamo qualche no, se facciamo prevalere il dovere, ci si stanca ed è normale provare agitazione e senso di inadeguatezza. No! Non è pazzia e neanche recita. Si scoppia! Ci si isola, ci si difende nel sonno e nel distacco.
Arriva il momento in cui non si possono più sottovalutare i segnali di sofferenza e paura: timore di star male, ansia per la salute dei propri cari, paura di morire.
Ci sono momenti dove il senso di unità del nostro IO si perde nei posti più disparati e va in vacanza. Si perde in rivoli di pensieri e sogni, di paure e di sgradite emozioni. Si vivono, in parallelo, agonie martellanti sulle strade della tristezza, del disagio fisico, dei pensieri negativi.
Non basta sapere dei disagi altrui e delle malattie del mondo per riconciliarci con i nostri equilibri. Non consolano.
Affiorano a cielo aperto, incubi di impazzimento, di malattia, di panico. E non se ne viene a capo. Però, in fondo in fondo, questi stati, sono anche terapeutici.
Sono momenti di rinnovamento e condivisione dei problemi della vita. A volte sono solo incubi a occhi aperti, che passano al risveglio del nostro IO.
Siamo meno umani, se evitiamo le richieste di persone care che ci chiedono di fare cose che percepiamo pesanti: occuparsi di tutto, girare nel traffico, sotto il sole, nel caos? Siamo matti? O semplicemente, siamo diventati più sensibili? Più ansiosi e vulnerabili?
Spesso abbiamo bisogno di chiudere gli occhi, di rilassarci e di stare tranquilli. Se non lo facciamo, se non diciamo qualche no, se facciamo prevalere il dovere, ci si stanca ed è normale provare agitazione e senso di inadeguatezza. No! Non è pazzia e neanche recita. Si scoppia! Ci si isola, ci si difende nel sonno e nel distacco.
Arriva il momento in cui non si possono più sottovalutare i segnali di sofferenza e paura: timore di star male, ansia per la salute dei propri cari, paura di morire.
Ci sono momenti dove il senso di unità del nostro IO si perde nei posti più disparati e va in vacanza. Si perde in rivoli di pensieri e sogni, di paure e di sgradite emozioni. Si vivono, in parallelo, agonie martellanti sulle strade della tristezza, del disagio fisico, dei pensieri negativi.
Non basta sapere dei disagi altrui e delle malattie del mondo per riconciliarci con i nostri equilibri. Non consolano.
Affiorano a cielo aperto, incubi di impazzimento, di malattia, di panico. E non se ne viene a capo. Però, in fondo in fondo, questi stati, sono anche terapeutici.
Sono momenti di rinnovamento e condivisione dei problemi della vita. A volte sono solo incubi a occhi aperti, che passano al risveglio del nostro IO.