
I legami rappresentano la ricchezza dei rapporti umani. Per ognuno di noi, la presenza dell’altro, il suo affetto, sostegno e rispetto, rappresentano una risorsa fondamentale per crescere e prosperare. L’altro è una risorsa di informazioni e conoscenze e allo stesso tempo è la guida al nostro esame di realtà. Ci fa da specchio e da filtro.
Nell’ambito famigliare questo si traduce in un lungo addestramento alla vita che si sviluppa attraverso le varie forme di comunicazione, più o meno valide, che conosciamo.
Nell’ambito lavorativo certe forme di comunicazione, che nascono con statuti e regole ben determinati, si trasformano in guerre all’ultimo sangue.
Perché avviene questo? E come si chiama quella forma di comunicazione che anche tra fratelli e soci si traduce in guerra fredda, incomprensioni e conflitti?
Le basi di partenza sono i messaggi incongruenti tra il livello dei discorsi espliciti (ciò che viene detto a parole) e quello metacomunicativo (ciò che viene fatto: comportamenti, gesti, atteggiamenti, tono della voce). In pratica, chi non ha la possibilità di decidere quale dei due livelli sia valido e di cui tener conto, va in cortocircuito. Questa è la condizione di doppio legame che porta alla nevrosi e al conflitto tra le parti!
Così, in un’azienda, i soci, non sapendo più chi deve decidere che cosa, iniziano una comunicazione conflittuale.
All’inizio, per il bene comune, si attivano gli estintori, le bombole di ossigeno, le mascherine. Si diventa bianchi dentro.
Successivamente, si cambia atteggiamento e si diventa come ‘transformer’: ’se non sono la mente, sarò il braccio’; ‘sarò solo un socio di capitale e ti farò le pulci’; ‘sarò solo un dipendente, ma ti auguro di morire insieme alle tue idee’.
Poi, ci si ferma e si pensa: ‘ma è proprio così che deve andare?’ Una battaglia quotidiana di caratteri, di idee e di visioni?
Oggi è chiaramente dimostrato che la disfunzione comunicativa fa ammalare le persone e irrigidisce i sistemi.
Due persone che dicono reciprocamente ’collaboriamo’ o lo pensano, ciascuno vuol dire una cosa diversa, una vita diversa, perfino forse un colore diverso o un aroma diverso. E’ nella somma astratta delle loro impressioni, nella consapevolezza della reciproca prospettiva e nell’accettazione delle loro differenze, che si costituisce l’esercizio di una comunicazione che riesce a mediare il passato, il presente e il futuro, e a realizzare qualcosa che viaggia nel tempo. Si chiama dialogo.
Come sempre, bisogna lavorarci sopra!
Nell’ambito famigliare questo si traduce in un lungo addestramento alla vita che si sviluppa attraverso le varie forme di comunicazione, più o meno valide, che conosciamo.
Nell’ambito lavorativo certe forme di comunicazione, che nascono con statuti e regole ben determinati, si trasformano in guerre all’ultimo sangue.
Perché avviene questo? E come si chiama quella forma di comunicazione che anche tra fratelli e soci si traduce in guerra fredda, incomprensioni e conflitti?
Le basi di partenza sono i messaggi incongruenti tra il livello dei discorsi espliciti (ciò che viene detto a parole) e quello metacomunicativo (ciò che viene fatto: comportamenti, gesti, atteggiamenti, tono della voce). In pratica, chi non ha la possibilità di decidere quale dei due livelli sia valido e di cui tener conto, va in cortocircuito. Questa è la condizione di doppio legame che porta alla nevrosi e al conflitto tra le parti!
Così, in un’azienda, i soci, non sapendo più chi deve decidere che cosa, iniziano una comunicazione conflittuale.
All’inizio, per il bene comune, si attivano gli estintori, le bombole di ossigeno, le mascherine. Si diventa bianchi dentro.
Successivamente, si cambia atteggiamento e si diventa come ‘transformer’: ’se non sono la mente, sarò il braccio’; ‘sarò solo un socio di capitale e ti farò le pulci’; ‘sarò solo un dipendente, ma ti auguro di morire insieme alle tue idee’.
Poi, ci si ferma e si pensa: ‘ma è proprio così che deve andare?’ Una battaglia quotidiana di caratteri, di idee e di visioni?
Oggi è chiaramente dimostrato che la disfunzione comunicativa fa ammalare le persone e irrigidisce i sistemi.
Due persone che dicono reciprocamente ’collaboriamo’ o lo pensano, ciascuno vuol dire una cosa diversa, una vita diversa, perfino forse un colore diverso o un aroma diverso. E’ nella somma astratta delle loro impressioni, nella consapevolezza della reciproca prospettiva e nell’accettazione delle loro differenze, che si costituisce l’esercizio di una comunicazione che riesce a mediare il passato, il presente e il futuro, e a realizzare qualcosa che viaggia nel tempo. Si chiama dialogo.
Come sempre, bisogna lavorarci sopra!