Questo post è rivolto a coloro che vivono o hanno vissuto traumi fisici, emotivi o psicologici, e cercano un messaggio di speranza.
Camminiamo nella vita fiduciosi, finché non incontriamo eventi o problemi che sequestrano la nostra forza e inibiscono la nostra reattività. Sono i traumi.
Vogliamo uscirne, vogliamo risponderne, ma la fragilità talvolta arriva fino alle ossa.
Quando cerchiamo qualcosa di buono dentro di noi, che sappia reagire alle avversità, sappiamo che c’è, ma quando non troviamo nulla o quel poco che troviamo non basta, sperimentiamo la raffinata tortura dell’essere soli, con pochi intervalli di lucida visione.
Oggi parleremo del dolore e dei traumi come di una realtà che va gestita con la mente e la consapevolezza.
In primis, c’è da capire con cosa abbiamo a che fare, perchè non c’è nessun addestramento specifico che ci aiuti ad affrontare un trauma, un dolore, un abbandono … una sigaretta spenta in un braccio.
Ogni persona che viva un trauma viene condotta in una realtà drammatica dove una ‘tortura’ va avanti sino alla fine per ricominciare ogni volta daccapo.
Per la mente il dolore è sofferenza e tormento. Travolge il nostro autocontrollo, ricomincia e alla fine cadiamo: diventiamo imprevedibili e folli. Perdiamo l’autocontrollo.
Cosa si può fare? La mente sotto stress è prodigiosa. Manifesta allucinazioni, rimozione, isolamento, batte in ritirata.
Si deve imparare a sfruttare queste cose. Non vanno vissute come cieche reazioni alle avversità, ma come mosse di un gioco.
E arriva il momento in cui si accede a una forza supplementare, che può essere la consapevolezza, ma anche la rabbia, che fa esplodere quella realtà di dolore, e la riduce in cenere.
E’ quella parte di noi che dice ‘ne ho abbastanza’.
Durante la fase del dolore, quel costrutto che ci sta annichilendo, in particolare il suo significato, dobbiamo imparare a trattarlo in un modo speciale.
E come accade tutto ciò? Facendo, entrando volontariamente nella dimensione del dolore, estrapolando i ricordi del trauma, insieme alla sensazione di sentirsi in trappola.
Prima fase
Nella prima fase, il dolore accende, come le luci di Natale, il significato di ciò che viviamo come un luogo pieno di insidie, di cui ne affrontiamo alcune, fino a che non si affronta l’impotenza.
Per uscirne, bisogna battere il giocatore, e cioè l’identificazione con l’impotenza, non il gioco. Dentro il nostro dolore non possiamo buttare il napalm e uccidere tutto e tutti, compresi i ricordi. Dobbiamo resistere e passare a una seconda fase.
Seconda fase
Il dolore non ha limiti e la parte di noi che si interroga sugli accadimenti, l’inquisitore, non ha pietà. E’ un universo di sofferenza che all’inizio sembra senza fine.
Va accettato il fatto che non finirà mai. Ci si può lamentare, gridare e piangere. Lasciamo credere a noi stessi che stiamo per cedere. Ricordiamoci però che non siamo animali in trappola, noi siamo noi, noi stiamo aspettando il momento giusto, perchè il nostro nemico non è l’esperienza, non è l’inquisitore, il nostro nemico è la disperazione. L’impotenza.
Terza fase
Impariamo ad aspettare, scoviamo il punto debole del nemico interiore e passiamo alla fase successiva: chiudere il buco nero della debolezza. Riprendiamo il controllo, il controllo del costrutto e cancelliamo le catene con i suoi vincoli. E anche se non è così semplice, cancelliamo i pensieri, cancelliamo i ricordi spiacevoli.
Ricordiamoci che il dolore non tiene veramente a noi.
Quarta fase
Il passo successivo sarà uscire dal nucleo di dolore.
Concentriamoci su ciò a cui teniamo di più con ogni atomo della nostra esistenza, manteniamo noi stessi aperti alla schiusa di un varco nel mondo virtuale delle possibilità.
E’ in questo modo che si torna al mondo reale.
Uscire dal dolore però non basta da solo. Infatti occorre tornare al mondo reale ed essere pronti.
Quinta fase
E si arriverà alla fase seguente: ‘amare se stessi e la propria vita’.
Non dobbiamo temere di mostrare la nostra debolezza, almeno fino al momento in cui scopriamo di non esserlo più: lasciamo il dolore e la sofferenza, il cuore e la debolezza, all’attenzione del nostro aguzzino interiore.
Così facendo, saremo i creatori di una fessura nel significato che diamo alla nostra sofferenza … e saremo pronti a guardare le cose in modo diverso e realizzare una nuova immagine di noi.
Camminiamo nella vita fiduciosi, finché non incontriamo eventi o problemi che sequestrano la nostra forza e inibiscono la nostra reattività. Sono i traumi.
Vogliamo uscirne, vogliamo risponderne, ma la fragilità talvolta arriva fino alle ossa.
Quando cerchiamo qualcosa di buono dentro di noi, che sappia reagire alle avversità, sappiamo che c’è, ma quando non troviamo nulla o quel poco che troviamo non basta, sperimentiamo la raffinata tortura dell’essere soli, con pochi intervalli di lucida visione.
Oggi parleremo del dolore e dei traumi come di una realtà che va gestita con la mente e la consapevolezza.
In primis, c’è da capire con cosa abbiamo a che fare, perchè non c’è nessun addestramento specifico che ci aiuti ad affrontare un trauma, un dolore, un abbandono … una sigaretta spenta in un braccio.
Ogni persona che viva un trauma viene condotta in una realtà drammatica dove una ‘tortura’ va avanti sino alla fine per ricominciare ogni volta daccapo.
Per la mente il dolore è sofferenza e tormento. Travolge il nostro autocontrollo, ricomincia e alla fine cadiamo: diventiamo imprevedibili e folli. Perdiamo l’autocontrollo.
Cosa si può fare? La mente sotto stress è prodigiosa. Manifesta allucinazioni, rimozione, isolamento, batte in ritirata.
Si deve imparare a sfruttare queste cose. Non vanno vissute come cieche reazioni alle avversità, ma come mosse di un gioco.
E arriva il momento in cui si accede a una forza supplementare, che può essere la consapevolezza, ma anche la rabbia, che fa esplodere quella realtà di dolore, e la riduce in cenere.
E’ quella parte di noi che dice ‘ne ho abbastanza’.
Durante la fase del dolore, quel costrutto che ci sta annichilendo, in particolare il suo significato, dobbiamo imparare a trattarlo in un modo speciale.
E come accade tutto ciò? Facendo, entrando volontariamente nella dimensione del dolore, estrapolando i ricordi del trauma, insieme alla sensazione di sentirsi in trappola.
Prima fase
Nella prima fase, il dolore accende, come le luci di Natale, il significato di ciò che viviamo come un luogo pieno di insidie, di cui ne affrontiamo alcune, fino a che non si affronta l’impotenza.
Per uscirne, bisogna battere il giocatore, e cioè l’identificazione con l’impotenza, non il gioco. Dentro il nostro dolore non possiamo buttare il napalm e uccidere tutto e tutti, compresi i ricordi. Dobbiamo resistere e passare a una seconda fase.
Seconda fase
Il dolore non ha limiti e la parte di noi che si interroga sugli accadimenti, l’inquisitore, non ha pietà. E’ un universo di sofferenza che all’inizio sembra senza fine.
Va accettato il fatto che non finirà mai. Ci si può lamentare, gridare e piangere. Lasciamo credere a noi stessi che stiamo per cedere. Ricordiamoci però che non siamo animali in trappola, noi siamo noi, noi stiamo aspettando il momento giusto, perchè il nostro nemico non è l’esperienza, non è l’inquisitore, il nostro nemico è la disperazione. L’impotenza.
Terza fase
Impariamo ad aspettare, scoviamo il punto debole del nemico interiore e passiamo alla fase successiva: chiudere il buco nero della debolezza. Riprendiamo il controllo, il controllo del costrutto e cancelliamo le catene con i suoi vincoli. E anche se non è così semplice, cancelliamo i pensieri, cancelliamo i ricordi spiacevoli.
Ricordiamoci che il dolore non tiene veramente a noi.
Quarta fase
Il passo successivo sarà uscire dal nucleo di dolore.
Concentriamoci su ciò a cui teniamo di più con ogni atomo della nostra esistenza, manteniamo noi stessi aperti alla schiusa di un varco nel mondo virtuale delle possibilità.
E’ in questo modo che si torna al mondo reale.
Uscire dal dolore però non basta da solo. Infatti occorre tornare al mondo reale ed essere pronti.
Quinta fase
E si arriverà alla fase seguente: ‘amare se stessi e la propria vita’.
Non dobbiamo temere di mostrare la nostra debolezza, almeno fino al momento in cui scopriamo di non esserlo più: lasciamo il dolore e la sofferenza, il cuore e la debolezza, all’attenzione del nostro aguzzino interiore.
Così facendo, saremo i creatori di una fessura nel significato che diamo alla nostra sofferenza … e saremo pronti a guardare le cose in modo diverso e realizzare una nuova immagine di noi.