
E’ stato proprio un bel Palio. Più di altri è stato vissuto al centopercento: mossa lunghissima, fantini assoldati con l'unico scopo di far perdere l'avversaria, vittoria all’ultimo respiro, scazzottate appassionanti, piccole scaramucce, pianti e urla.
Chi ha vissuto il Palio da dentro ha tremato ad ogni chiamata del mossiere. Chi l’ha vissuto da fuori ha palpitato per le emozioni di una città rituffata nel medioevo.
Ogni contrada ha dato le sue consegne al fantino, scelto la propria strategia: in alcuni casi il popolo ha condiviso e si è unito, in altri ha mugugnato, non capendo. In ogni caso grande tensione, grande partecipazione, ma tutti insieme, come Popolo, appunto.
L’energia profusa ha mangiato il tempo e ha reso i giorni della preparazione, dell'attesa, i più belli. Tutto questo avviene prima del Palio, ed è anche questa la sua bellezza.
Il giorno del Palio, tra quelli che "ci speravano", è il giorno più brutto di tutti: solo per la contrada che vince è un momento di gioia. "Si salta" anche se la nemica favorita non ha vinto. Per tutte le altre contrade, la tensione cala e rimangono le chiacchiere, le analisi, le congetture. Ci si aggira in contrada ma i fari si spengono.
Da profano, ci capisco un sesto. Penso che dopo emozioni così coinvolgenti, non ci sia più voglia di fare nulla, dalle emozioni in caduta libera, alla voce persa per i canti, alla sensazione di avere dato tutto se stessi alla contrada, e invece no. Inizia il Palio dei commenti, delle riflessioni, delle interpretazioni, dei 53 dettagli.
Si parla di strategie, di ingaggi, di partenze, di cavalli e di fantini. E in quel penetrare in profondità nell’esperienza del Palio, accade qualcosa di unificante. Avviene qualcosa di profondamente psicologico. In mezzo a quel sudare di emozioni e pensieri, si riformulano gli eventi, si stimolano nuove motivazioni e si ribadisce la sfida impari con il destino e la fortuna.
Chi ha vissuto il Palio da dentro ha tremato ad ogni chiamata del mossiere. Chi l’ha vissuto da fuori ha palpitato per le emozioni di una città rituffata nel medioevo.
Ogni contrada ha dato le sue consegne al fantino, scelto la propria strategia: in alcuni casi il popolo ha condiviso e si è unito, in altri ha mugugnato, non capendo. In ogni caso grande tensione, grande partecipazione, ma tutti insieme, come Popolo, appunto.
L’energia profusa ha mangiato il tempo e ha reso i giorni della preparazione, dell'attesa, i più belli. Tutto questo avviene prima del Palio, ed è anche questa la sua bellezza.
Il giorno del Palio, tra quelli che "ci speravano", è il giorno più brutto di tutti: solo per la contrada che vince è un momento di gioia. "Si salta" anche se la nemica favorita non ha vinto. Per tutte le altre contrade, la tensione cala e rimangono le chiacchiere, le analisi, le congetture. Ci si aggira in contrada ma i fari si spengono.
Da profano, ci capisco un sesto. Penso che dopo emozioni così coinvolgenti, non ci sia più voglia di fare nulla, dalle emozioni in caduta libera, alla voce persa per i canti, alla sensazione di avere dato tutto se stessi alla contrada, e invece no. Inizia il Palio dei commenti, delle riflessioni, delle interpretazioni, dei 53 dettagli.
Si parla di strategie, di ingaggi, di partenze, di cavalli e di fantini. E in quel penetrare in profondità nell’esperienza del Palio, accade qualcosa di unificante. Avviene qualcosa di profondamente psicologico. In mezzo a quel sudare di emozioni e pensieri, si riformulano gli eventi, si stimolano nuove motivazioni e si ribadisce la sfida impari con il destino e la fortuna.