
Scoprire che un figlio a 17 anni fa uso di sostanze, che da mesi ha un umore altalenante, che sa tutto lui e che a scuola è un disastro, qualche domanda e qualche riflessione un genitore se la pone: ‘non conosco più mio figlio. Non avrei mai pensato a tutto questo. Non so come pormi con lui. Non riesco a parlargli. Alza dei muri. Ma dove ho/abbiamo sbagliato? Sono distrutto!’
All’inizio ci si arrabbia e ci si deprime, non si dorme e ci si angustia in un mare di pensieri e di paure. Poi si interviene. Si parla con amici, insegnanti, parenti. Si controllano i social, i computer, i comportamenti. Si punisce ogni trasgressione e si fissano regole stringenti.
In principio si fa leva sulla responsabilità, la colpa, il giudizio, il dolore. Sono strategie d’emergenza che funzionano lì per lì, ma poi finiscono nel vuoto. O almeno, il più delle volte non arrivano alla consapevolezza del ragazzo e alla consolle dei suoi ragionamenti.
Un genitore impaurito interviene con modalità che lo rassicurano, dicendo cose chiare e severe, addirittura minacciose. Purtroppo, faticando a leggere, nelle parole e nei comportamenti del ragazzo, le intenzioni responsabili verso un cambiamento vero e duraturo, ne subisce le bugie, i nascondimenti, le falsità.
Quello che vediamo nella pratica è che il pressing non funziona e ... non dura. Quantomeno è faticosissimo da sostenere.
Quando si alza la voce, si stringe il viso, si dimostra il proprio dolore, si giudica, si comunica in modo aggressivo e direttivo, si alzano i muri. Soprattutto quelli del ragazzo.
Purtroppo quello che accade in queste circostanze è che gli obiettivi da raggiungere non sono lineari. In pratica si naviga a vista. Un passo avanti e uno indietro. Spesso in tondo.
Tra l’altro, i problemi da affrontare sono molteplici (non solo droga, ma alcol, sesso, disturbi dell’umore, attacchi di panico, scarsi risultati scolastici, problemi personali), le priorità contrastanti e gli obiettivi differenti.
Per questo occorre che la direzione intrapresa dai genitori sia chiara, con continui aggiustamenti e molteplici accorgimenti: trovare modi per sollevare gli argomenti scottanti, stimolare l’interesse e le motivazioni al cambiamento, risvegliare abilità fondamentali, condividere degli obiettivi raggiungibili e decidere da dove iniziare.
In quelle situazioni sono più utili, e le ricerche lo confermano, non i modi dirigisti, le regole ferree o le imposizioni, ma le comunicazioni propositive e orientate al cambiamento. Queste rappresentano un modo per agganciare la ricerca e il mantenimento di una direzione e comportamenti chiari: nel dialogo, nelle azioni, nella presenza, nell’affetto, nella ricerca di informazioni.
A volte si ha la sensazione di pagare il conto di una trascuratezza relazionale maturata negli anni, ma superato lo scoglio dell’autoaccusa, il premio vale una vita: ritrovare un clima collaborativo dove si aspira al cambiamento e alla felicità vera, quella delle passioni del proprio figlio.
‘D’accordo, dice un genitore, ho sbagliato ma è tempo che io faccia di tutto per aiutare mio figlio ad essere felice’.
All’inizio ci si arrabbia e ci si deprime, non si dorme e ci si angustia in un mare di pensieri e di paure. Poi si interviene. Si parla con amici, insegnanti, parenti. Si controllano i social, i computer, i comportamenti. Si punisce ogni trasgressione e si fissano regole stringenti.
In principio si fa leva sulla responsabilità, la colpa, il giudizio, il dolore. Sono strategie d’emergenza che funzionano lì per lì, ma poi finiscono nel vuoto. O almeno, il più delle volte non arrivano alla consapevolezza del ragazzo e alla consolle dei suoi ragionamenti.
Un genitore impaurito interviene con modalità che lo rassicurano, dicendo cose chiare e severe, addirittura minacciose. Purtroppo, faticando a leggere, nelle parole e nei comportamenti del ragazzo, le intenzioni responsabili verso un cambiamento vero e duraturo, ne subisce le bugie, i nascondimenti, le falsità.
Quello che vediamo nella pratica è che il pressing non funziona e ... non dura. Quantomeno è faticosissimo da sostenere.
Quando si alza la voce, si stringe il viso, si dimostra il proprio dolore, si giudica, si comunica in modo aggressivo e direttivo, si alzano i muri. Soprattutto quelli del ragazzo.
Purtroppo quello che accade in queste circostanze è che gli obiettivi da raggiungere non sono lineari. In pratica si naviga a vista. Un passo avanti e uno indietro. Spesso in tondo.
Tra l’altro, i problemi da affrontare sono molteplici (non solo droga, ma alcol, sesso, disturbi dell’umore, attacchi di panico, scarsi risultati scolastici, problemi personali), le priorità contrastanti e gli obiettivi differenti.
Per questo occorre che la direzione intrapresa dai genitori sia chiara, con continui aggiustamenti e molteplici accorgimenti: trovare modi per sollevare gli argomenti scottanti, stimolare l’interesse e le motivazioni al cambiamento, risvegliare abilità fondamentali, condividere degli obiettivi raggiungibili e decidere da dove iniziare.
In quelle situazioni sono più utili, e le ricerche lo confermano, non i modi dirigisti, le regole ferree o le imposizioni, ma le comunicazioni propositive e orientate al cambiamento. Queste rappresentano un modo per agganciare la ricerca e il mantenimento di una direzione e comportamenti chiari: nel dialogo, nelle azioni, nella presenza, nell’affetto, nella ricerca di informazioni.
A volte si ha la sensazione di pagare il conto di una trascuratezza relazionale maturata negli anni, ma superato lo scoglio dell’autoaccusa, il premio vale una vita: ritrovare un clima collaborativo dove si aspira al cambiamento e alla felicità vera, quella delle passioni del proprio figlio.
‘D’accordo, dice un genitore, ho sbagliato ma è tempo che io faccia di tutto per aiutare mio figlio ad essere felice’.