
Le parole generative che preparano il futuro di una vita significativa sono curiosità, creatività, intraprendenza. Riguardano il fare. E il fare è una conquista. Crescere, studiare, lavorare, vivere, è il frutto del fare: se facciamo qualcosa accade, se non lo facciamo, non accade. E’ il risultato di azioni che compiamo.
Ciò che siamo, invece, la nostra natura, il potenziale di base, non dobbiamo fare nulla per averlo. E’ qualcosa che si manifesta in ogni momento. E’ il nostro fulcro.
Il rapporto di interdipendenza tra il fare e ciò che siamo, genera azioni consapevoli e mature. Il loro conflitto genera qualcosa che non sentiamo nostro e che ci fa vivere alla periferia della nostra vita.
Pertanto, quando vediamo i ragazzi, ma anche gli adulti, vivere ai margini della loro vita attraverso l’alcol, la droga, il disagio, la violenza, l’apatia, l’insicurezza, è perché vivono fuori dal loro centro e concentrano il fuoco delle proprie emozioni su traiettorie superficiali di soddisfazione immediata. Con comportamenti incostanti e per esigenze di snaturata sopravvivenza.
Quello che siamo precede l’azione e quello che progettiamo ha buone probabilità di manifestarsi nella vita. Se confondiamo o, peggio, manipoliamo il nostro sentire intimo, eleviamo il fare e l’avere ai valori principali della vita. Ma il vero valore è ciò che siamo. Sono le risorse che manifestiamo per come riusciamo a conoscerci, percepirci, sentirci. E’ l’ascolto profondo.
E allora, quali sono gli strumenti per conoscersi dall'interno e accedere al proprio centro?
Se azione e arresto rappresentano le due polarità del fare e dell’indugiare, allora, mentre si compie un’azione qualsiasi, ci si ferma e ci si osserva. Si cattura l’iniziativa del corpo e contemporaneamente l’azione interiore.
Quando ci fermiamo, abbiamo la grandissima opportunità di percepire l’attività che viene da dentro e con essa il vero motore trainante di ogni azione consapevole.
E’ da lì in fondo che parte ogni nostro progetto di vita: dall'inattività, alla consapevolezza, all'azione generativa.
Ciò che siamo, invece, la nostra natura, il potenziale di base, non dobbiamo fare nulla per averlo. E’ qualcosa che si manifesta in ogni momento. E’ il nostro fulcro.
Il rapporto di interdipendenza tra il fare e ciò che siamo, genera azioni consapevoli e mature. Il loro conflitto genera qualcosa che non sentiamo nostro e che ci fa vivere alla periferia della nostra vita.
Pertanto, quando vediamo i ragazzi, ma anche gli adulti, vivere ai margini della loro vita attraverso l’alcol, la droga, il disagio, la violenza, l’apatia, l’insicurezza, è perché vivono fuori dal loro centro e concentrano il fuoco delle proprie emozioni su traiettorie superficiali di soddisfazione immediata. Con comportamenti incostanti e per esigenze di snaturata sopravvivenza.
Quello che siamo precede l’azione e quello che progettiamo ha buone probabilità di manifestarsi nella vita. Se confondiamo o, peggio, manipoliamo il nostro sentire intimo, eleviamo il fare e l’avere ai valori principali della vita. Ma il vero valore è ciò che siamo. Sono le risorse che manifestiamo per come riusciamo a conoscerci, percepirci, sentirci. E’ l’ascolto profondo.
E allora, quali sono gli strumenti per conoscersi dall'interno e accedere al proprio centro?
Se azione e arresto rappresentano le due polarità del fare e dell’indugiare, allora, mentre si compie un’azione qualsiasi, ci si ferma e ci si osserva. Si cattura l’iniziativa del corpo e contemporaneamente l’azione interiore.
Quando ci fermiamo, abbiamo la grandissima opportunità di percepire l’attività che viene da dentro e con essa il vero motore trainante di ogni azione consapevole.
E’ da lì in fondo che parte ogni nostro progetto di vita: dall'inattività, alla consapevolezza, all'azione generativa.