
Parlare con un’amica fa bene non solo perché si condividono le esperienze dell’affetto, ma anche perché ci si confronta su cosa è normale e cosa no, cosa ha valore e cosa no, cosa piace o non piace.
A volte le domande diventano dei veri e propri test sul come l’amica pensa, sente, immagina. E può far bene scoprire che il proprio modo di sentire è intenso, fantasioso, vulcanico e tutto orientato all’interno delle proprie stanze interiori. Stanze che basta pensarle perché si presentino, basta immaginarle perché diventino reali, basta entrarci dentro perché si provino emozioni più intense della realtà stessa: di amore, di condivisione, di libertà.
L'amica, al contrario, pensa la realtà e non la fantasia, vive ciò che è fuori di sé, non ciò che è dentro: perché sono solo pensieri e immagini, che interessano come guida e riflessione, non come distillato e fonte di emozioni.
Si scopre che il mondo, gli altri, non solo l’amica, pensano diversamente e non fanno ciò che sembrava: una prassi comune.
La gratificazione in fantasia è una stupenda risorsa perché colora il mondo, perché premia i momenti difficili, perché trasforma un malessere in qualcosa di tollerabile. Ma è anche una trappola, perché la realtà diventa meno intensa, meno accogliente, meno interessante. E la mente con le sue nevrosi e contraddizioni, gioisce.
E allora dove sta il confine tra il mondo oggettivo e soggettivo, tra le emozioni delle proprie stanze interiori e le emozioni del mondo, tra i meccanismi della notte e la coscienza del giorno? Sta 80 (mondo delle stanze interiori) a 20 (mondo della realtà): un abisso.
Certo, è più facile agire un pensiero che alzarsi per leggere un libro; è più facile creare una sceneggiatura mentale che approcciarsi a persone e cose confuse; è più facile dirigere il proprio teatro mentale che far valere i propri bisogni dinanzi al giudizio della vita.
Se non ci fosse la fantasia ci sarebbero decisioni, rinunce, forse solitudine e depressione. E allora per equilibrare i pesi occorre alzare l’asticella della realtà e produrre spazi di silenzio interiore, ridurre le stanze della memoria e del futuro: dedicare una carezza affettuosa ad una mente che talvolta procede al galoppo senza cavaliere.
A volte le domande diventano dei veri e propri test sul come l’amica pensa, sente, immagina. E può far bene scoprire che il proprio modo di sentire è intenso, fantasioso, vulcanico e tutto orientato all’interno delle proprie stanze interiori. Stanze che basta pensarle perché si presentino, basta immaginarle perché diventino reali, basta entrarci dentro perché si provino emozioni più intense della realtà stessa: di amore, di condivisione, di libertà.
L'amica, al contrario, pensa la realtà e non la fantasia, vive ciò che è fuori di sé, non ciò che è dentro: perché sono solo pensieri e immagini, che interessano come guida e riflessione, non come distillato e fonte di emozioni.
Si scopre che il mondo, gli altri, non solo l’amica, pensano diversamente e non fanno ciò che sembrava: una prassi comune.
La gratificazione in fantasia è una stupenda risorsa perché colora il mondo, perché premia i momenti difficili, perché trasforma un malessere in qualcosa di tollerabile. Ma è anche una trappola, perché la realtà diventa meno intensa, meno accogliente, meno interessante. E la mente con le sue nevrosi e contraddizioni, gioisce.
E allora dove sta il confine tra il mondo oggettivo e soggettivo, tra le emozioni delle proprie stanze interiori e le emozioni del mondo, tra i meccanismi della notte e la coscienza del giorno? Sta 80 (mondo delle stanze interiori) a 20 (mondo della realtà): un abisso.
Certo, è più facile agire un pensiero che alzarsi per leggere un libro; è più facile creare una sceneggiatura mentale che approcciarsi a persone e cose confuse; è più facile dirigere il proprio teatro mentale che far valere i propri bisogni dinanzi al giudizio della vita.
Se non ci fosse la fantasia ci sarebbero decisioni, rinunce, forse solitudine e depressione. E allora per equilibrare i pesi occorre alzare l’asticella della realtà e produrre spazi di silenzio interiore, ridurre le stanze della memoria e del futuro: dedicare una carezza affettuosa ad una mente che talvolta procede al galoppo senza cavaliere.