
Pensando a quelli che commentano o criticano, poi a quelli che continuano a fare la stessa vita e lavoro, e ancora a quelli che si definiscono sempre con lo stesso ruolo e nome, mi chiedo: ‘poveretti, come fanno a fare sempre le stesse cose, avere sempre lo stesso tono, la stessa postura di discorso, la stessa parola in bocca e sulla punta della lingua, la stessa ironia e battute … come fanno ad essere sempre uguali e a ripetersi?
Poi mi sono detto che non riguarda solo pochi individui, riguarda tutti, riguarda anche me. Oddio! Scrivo, mi parlo e mi rispondo da solo.
E quindi, potrebbe essere utile smettere di essere se stessi e diventare qualcun altro, d’ufficio, andare in pensione. Andare in pensione dalla propria identità, quindi dal proprio lavoro, dai propri gesti, dai propri pensieri e abitudini. Invece di vivere qualcosa che non è vita, ma sopravvivenza, incrostazione, ristagno, facciamo del bene all’ecosistema. Cambiamo.
Salviamo la buona comunicazione, la meditazione, la vita attiva, la cura delle sofferenze altrui, compreso il contatto e il massaggio, tutti i gesti e i lavori che debordano la propria persona e identità, quelli votati all'alterità. Liberiamo tutti i gesti che fanno a meno di riferirsi a se stessi.
Ad un certo punto, abituarsi a vivere in un mondo senza ‘io’, significa andare in pensione e guadagnare una libertà speciale del pensiero. Non è troppo tardi. Nemmeno arrendersi a nuovi destini.
Abbiamo passato gli anni migliori a combattere contro le virgole, gli apostrofi, gli accenti e gli a capo della vita: e abbiamo perso.
Ora dobbiamo improvvisare, senza pause e balbettamenti, semplificare la vita senza aumentarne le ambiguità. Imparare una nuova lingua, la lingua del mondo odierno che evolve e ci supera. Dobbiamo solo andare in pensione, di tanto in tanto, da noi stessi e incontrare l’alterità.
Poi mi sono detto che non riguarda solo pochi individui, riguarda tutti, riguarda anche me. Oddio! Scrivo, mi parlo e mi rispondo da solo.
E quindi, potrebbe essere utile smettere di essere se stessi e diventare qualcun altro, d’ufficio, andare in pensione. Andare in pensione dalla propria identità, quindi dal proprio lavoro, dai propri gesti, dai propri pensieri e abitudini. Invece di vivere qualcosa che non è vita, ma sopravvivenza, incrostazione, ristagno, facciamo del bene all’ecosistema. Cambiamo.
Salviamo la buona comunicazione, la meditazione, la vita attiva, la cura delle sofferenze altrui, compreso il contatto e il massaggio, tutti i gesti e i lavori che debordano la propria persona e identità, quelli votati all'alterità. Liberiamo tutti i gesti che fanno a meno di riferirsi a se stessi.
Ad un certo punto, abituarsi a vivere in un mondo senza ‘io’, significa andare in pensione e guadagnare una libertà speciale del pensiero. Non è troppo tardi. Nemmeno arrendersi a nuovi destini.
Abbiamo passato gli anni migliori a combattere contro le virgole, gli apostrofi, gli accenti e gli a capo della vita: e abbiamo perso.
Ora dobbiamo improvvisare, senza pause e balbettamenti, semplificare la vita senza aumentarne le ambiguità. Imparare una nuova lingua, la lingua del mondo odierno che evolve e ci supera. Dobbiamo solo andare in pensione, di tanto in tanto, da noi stessi e incontrare l’alterità.