
E’ impopolare, ma il corpo segnala e il dolore insegna. Ci sono dolori sopportabili e non sopportabili. Parlo dei primi.
Quando si percepisce un dolore sopportabile è come andare a scuola di fisiologia dell’ascolto. E può essere un buon allenamento sentire un dolore che evolve, si trasforma e mostra una natura umana inevitabile e incredibile.
La prospettiva dalla quale osservarlo è che il dolore non è un nemico e non è da evitare, è da gestire. Ci sta dicendo che qualcosa non va e ci invita a scoprirlo.
Ci si mette comodi, si segue il respiro, si focalizza la parte dolente e ci si ritrova là, nel dolore, a sentire senza tendere i muscoli, senza desiderare la prima porta per fuggire, senza giudicare cosa succede.
Quello che succede va bene e per qualche minuto ci si osserva con una attenzione consapevole e curiosa di capire e di scoprire.
Attraverso quell'area, sentendo pulsare la parte, subendone l’intensità, la prima cosa che si impara è sostare e sostenere il dolore, invece di evitarlo e reprimerlo. L’indicazione che si sta facendo la cosa giusta è osservare, entrare, sentire e sostare nella parte dolorosa. Osservando il dolore, proprio nel punto più dolente, nel punto più circoscritto e profondo, si definirà sempre di più. Diventerà intermittente, comparirà e scomparirà, e probabilmente si sperimenteranno intuizioni e idee su cosa possa averlo determinato.
Scoprendone la causa, non è detto che il dolore scompaia (spesso accade!), ma emergeranno molte idee. Da una schiena malandata potranno emergere le dimensioni di un carattere combattivo ed esuberante, i molti NO trattenuti, il fare per dovere, prima del piacere, il sacrificare il proprio tempo personale, fino a che ‘tira tira, scatta un click e qualcosa si rompe. Qualcosa smette di fluire.
Certo, la stagione non aiuta, ma proprio le abitudini a fare tutto per gli altri, ad essere degli Yes Man, ad organizzare il mondo che ci circonda e che chiede l’unghia e anche il braccio, con gente che succhia l’anima con la cannuccia, non può essere la strada giusta.
No! Il mal di schiena (di testa, mestruale, etc.) ce lo ricorda e ci dice: ‘CAMBIA!’
Quando si percepisce un dolore sopportabile è come andare a scuola di fisiologia dell’ascolto. E può essere un buon allenamento sentire un dolore che evolve, si trasforma e mostra una natura umana inevitabile e incredibile.
La prospettiva dalla quale osservarlo è che il dolore non è un nemico e non è da evitare, è da gestire. Ci sta dicendo che qualcosa non va e ci invita a scoprirlo.
Ci si mette comodi, si segue il respiro, si focalizza la parte dolente e ci si ritrova là, nel dolore, a sentire senza tendere i muscoli, senza desiderare la prima porta per fuggire, senza giudicare cosa succede.
Quello che succede va bene e per qualche minuto ci si osserva con una attenzione consapevole e curiosa di capire e di scoprire.
Attraverso quell'area, sentendo pulsare la parte, subendone l’intensità, la prima cosa che si impara è sostare e sostenere il dolore, invece di evitarlo e reprimerlo. L’indicazione che si sta facendo la cosa giusta è osservare, entrare, sentire e sostare nella parte dolorosa. Osservando il dolore, proprio nel punto più dolente, nel punto più circoscritto e profondo, si definirà sempre di più. Diventerà intermittente, comparirà e scomparirà, e probabilmente si sperimenteranno intuizioni e idee su cosa possa averlo determinato.
Scoprendone la causa, non è detto che il dolore scompaia (spesso accade!), ma emergeranno molte idee. Da una schiena malandata potranno emergere le dimensioni di un carattere combattivo ed esuberante, i molti NO trattenuti, il fare per dovere, prima del piacere, il sacrificare il proprio tempo personale, fino a che ‘tira tira, scatta un click e qualcosa si rompe. Qualcosa smette di fluire.
Certo, la stagione non aiuta, ma proprio le abitudini a fare tutto per gli altri, ad essere degli Yes Man, ad organizzare il mondo che ci circonda e che chiede l’unghia e anche il braccio, con gente che succhia l’anima con la cannuccia, non può essere la strada giusta.
No! Il mal di schiena (di testa, mestruale, etc.) ce lo ricorda e ci dice: ‘CAMBIA!’