Quando guardiamo la nostra vita attraverso le attività di uno smartphone, di un computer o della TV, dentro le piazze dei social network, in realtà cerchiamo un condensato di riconoscimenti (identificazione, visibilità), motivazioni (like), interessi (nuove idee), soddisfazioni (nuove relazioni, piacere). E’ la dilatazione della celebrità e del nostro esserci: del nostro essere presenti e testimoni di qualcosa di grandioso.
Dentro quelle scatole ben congegnate programmiamo la nostra vita e il nostro tempo. Abbiamo la sensazione, navigando, di far succedere le cose e che le nostre azioni abbiano un senso compiuto. Individuazione, stimoli, ricerca, passione, realizzazione, tutto sembra avere uno scopo.
E potrebbe averlo effettivamente se non fossimo quattro ore al giorno su internet, quattro alla TV e due sui social network. Dieci ore del nostro tempo dentro quelle scatole virtuali ad estendere la nostra esperienza attraverso i tentacoli neurali.
Il cortocircuito avviene quando non apprezziamo più il buio, il silenzio, il raccoglimento, la meditazione, e siamo sopraffatti dai bisogni quotidiani di efficienza, produzione e consumo. Il cortocircuito è ansia, allo stato puro, quando nelle nostre giornate infiliamo troppe cose.
In una giornata ci sono sempre troppe cose da fare, molte delle quali hanno il sapore di un tempo sprecato a spuntare obiettivi da una lista.
Vanno bene le nuove tecnologie, ma dobbiamo riprendere in mano le relazioni (‘con chi o con cosa mi sento connesso? Con chi mi sento coinvolto e presente?’); la cura (‘di chi o che cosa mi prendo cura? Verso chi ho dimostrato interessamento e affetto?’); il contributo (‘chi ho sostenuto? A cosa ho dato il mio apporto?’).
Possiamo fare molto quando ci occupiamo dei rapporti veri e rallentiamo permettendo al pensiero di farsi profondo.
Così, mi capita spesso di ricordare alle persone l’importanza di quello che fanno per i figli, la coppia, la famiglia, la società, il lavoro, per se stessi: una attenzione che sembra scontata e invece è così preziosa per dare significato alla vita attraverso il contatto, la cura e il sostegno.
Dentro quelle scatole ben congegnate programmiamo la nostra vita e il nostro tempo. Abbiamo la sensazione, navigando, di far succedere le cose e che le nostre azioni abbiano un senso compiuto. Individuazione, stimoli, ricerca, passione, realizzazione, tutto sembra avere uno scopo.
E potrebbe averlo effettivamente se non fossimo quattro ore al giorno su internet, quattro alla TV e due sui social network. Dieci ore del nostro tempo dentro quelle scatole virtuali ad estendere la nostra esperienza attraverso i tentacoli neurali.
Il cortocircuito avviene quando non apprezziamo più il buio, il silenzio, il raccoglimento, la meditazione, e siamo sopraffatti dai bisogni quotidiani di efficienza, produzione e consumo. Il cortocircuito è ansia, allo stato puro, quando nelle nostre giornate infiliamo troppe cose.
In una giornata ci sono sempre troppe cose da fare, molte delle quali hanno il sapore di un tempo sprecato a spuntare obiettivi da una lista.
Vanno bene le nuove tecnologie, ma dobbiamo riprendere in mano le relazioni (‘con chi o con cosa mi sento connesso? Con chi mi sento coinvolto e presente?’); la cura (‘di chi o che cosa mi prendo cura? Verso chi ho dimostrato interessamento e affetto?’); il contributo (‘chi ho sostenuto? A cosa ho dato il mio apporto?’).
Possiamo fare molto quando ci occupiamo dei rapporti veri e rallentiamo permettendo al pensiero di farsi profondo.
Così, mi capita spesso di ricordare alle persone l’importanza di quello che fanno per i figli, la coppia, la famiglia, la società, il lavoro, per se stessi: una attenzione che sembra scontata e invece è così preziosa per dare significato alla vita attraverso il contatto, la cura e il sostegno.