
Quando finisce una storia, ma non si è capito bene il perché, si rimane legati all’attesa di qualcosa che passi fisiologicamente, prima di ricominciare ad aprire nuovi capitoli della vita.
Così, come il contadino non può raccogliere patate e piantare carote nello stesso momento, ma deve aspettare i cicli naturali della terra, così una persona appena lasciata, ha bisogno di ‘pulire’ il proprio terreno di dolore. Spesso, dilatando i propri tempi di reazione.
Per ciascuno di noi, naturalmente, i tempi di reazione sono diversi. Per alcune persone le pagine del libro del dolore scorrono veloci, per altri è più la sensazione di una trappola che paralizza ogni attività e alternativa, per giorni e mesi.
A volte il blocco è un semaforo (arriva da fuori), talvolta è un freno ruota (lo creiamo da noi), talaltra è un freno motore (è interno alla nostra personalità).
Una persona addolorata, può percepire se stessa impotente, affamata e vuota. Senza nemmeno la possibilità di arrabbiarsi per rianimarsi e reagire. E purtroppo, la rabbia si rivolge allo stallo di se stessi.
Per reagire più prontamente a situazioni paralizzanti, occorre prendere atto di alcuni copioni e orientarsi verso alcuni obiettivi.
Occorre riscrivere la storia personale delle frustrazioni, accettando che anche da soli, la vita agisce e … prosegue.
Occorre togliere il freno motore alle convinzioni negative di non essere in grado di scegliere comportamenti alternativi. Bisogna spingere i tasti giusti sapendo che non è utile subire sequestri emozionali.
Serve creare responsabilità verso se stessi e autorizzare la propria coscienza ad affermare sentimenti e posizioni personali.
E’ fondamentale incoraggiare azioni alternative ai propri momenti di amarezza e desolazione.
E’ tassativo diminuire la sensazione di sentirsi sopraffatti dai problemi e recuperare il desiderio di occuparsi della propria vita, relazioni, lavoro, studio. Quando siamo nelle sabbie mobili abbiamo bisogno di una corda per non affogare.
E’ inutile piangere perché la pioggia della vita ci ha bagnato! E’ più pratico abilitare le azioni del nostro IO, al rispetto di noi stessi.
Così, come il contadino non può raccogliere patate e piantare carote nello stesso momento, ma deve aspettare i cicli naturali della terra, così una persona appena lasciata, ha bisogno di ‘pulire’ il proprio terreno di dolore. Spesso, dilatando i propri tempi di reazione.
Per ciascuno di noi, naturalmente, i tempi di reazione sono diversi. Per alcune persone le pagine del libro del dolore scorrono veloci, per altri è più la sensazione di una trappola che paralizza ogni attività e alternativa, per giorni e mesi.
A volte il blocco è un semaforo (arriva da fuori), talvolta è un freno ruota (lo creiamo da noi), talaltra è un freno motore (è interno alla nostra personalità).
Una persona addolorata, può percepire se stessa impotente, affamata e vuota. Senza nemmeno la possibilità di arrabbiarsi per rianimarsi e reagire. E purtroppo, la rabbia si rivolge allo stallo di se stessi.
Per reagire più prontamente a situazioni paralizzanti, occorre prendere atto di alcuni copioni e orientarsi verso alcuni obiettivi.
Occorre riscrivere la storia personale delle frustrazioni, accettando che anche da soli, la vita agisce e … prosegue.
Occorre togliere il freno motore alle convinzioni negative di non essere in grado di scegliere comportamenti alternativi. Bisogna spingere i tasti giusti sapendo che non è utile subire sequestri emozionali.
Serve creare responsabilità verso se stessi e autorizzare la propria coscienza ad affermare sentimenti e posizioni personali.
E’ fondamentale incoraggiare azioni alternative ai propri momenti di amarezza e desolazione.
E’ tassativo diminuire la sensazione di sentirsi sopraffatti dai problemi e recuperare il desiderio di occuparsi della propria vita, relazioni, lavoro, studio. Quando siamo nelle sabbie mobili abbiamo bisogno di una corda per non affogare.
E’ inutile piangere perché la pioggia della vita ci ha bagnato! E’ più pratico abilitare le azioni del nostro IO, al rispetto di noi stessi.