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'Il rispetto di se stessi' di Lorenzo Manfredini

29/9/2016

2 Commenti

 
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Quando finisce una storia, ma non si è capito bene il perché, si rimane legati all’attesa di qualcosa che passi fisiologicamente, prima di ricominciare ad aprire nuovi capitoli della vita.

Così, come il contadino non può raccogliere patate e piantare carote nello stesso momento, ma deve aspettare i cicli naturali della terra, così una persona appena lasciata, ha bisogno di ‘pulire’ il proprio terreno di dolore. Spesso, dilatando i propri tempi di reazione.

Per ciascuno di noi, naturalmente, i tempi di reazione sono diversi. Per alcune persone le pagine del libro del dolore scorrono veloci, per altri è più la sensazione di una trappola che paralizza ogni attività e alternativa, per giorni e mesi.

A volte il blocco è un semaforo (arriva da fuori), talvolta è un freno ruota (lo creiamo da noi), talaltra è un freno motore (è interno alla nostra personalità). 
Una persona addolorata, può percepire se stessa impotente, affamata e vuota. Senza nemmeno la possibilità di arrabbiarsi per rianimarsi e reagire. E purtroppo, la rabbia si rivolge allo stallo di se stessi.

Per reagire più prontamente a situazioni paralizzanti, occorre prendere atto di alcuni copioni e orientarsi verso alcuni obiettivi.

Occorre riscrivere la storia personale delle frustrazioni, accettando che anche da soli, la vita agisce e … prosegue.

Occorre togliere il freno motore alle convinzioni negative di non essere in grado di scegliere comportamenti alternativi. Bisogna spingere i tasti giusti sapendo che non è utile subire sequestri emozionali.

Serve creare responsabilità verso se stessi e autorizzare la propria coscienza ad affermare sentimenti e posizioni personali.

E’ fondamentale incoraggiare azioni alternative ai propri momenti di amarezza e desolazione.

E’ tassativo diminuire la sensazione di sentirsi sopraffatti dai problemi e recuperare il desiderio di occuparsi della propria vita, relazioni, lavoro, studio. Quando siamo nelle sabbie mobili abbiamo bisogno di una corda per non affogare.
​
E’ inutile piangere perché la pioggia della vita ci ha bagnato! E’ più pratico abilitare le azioni del nostro IO, al rispetto di noi stessi.


2 Commenti
alessandra bissacco
29/9/2016 11:36:27 am

La pioggia della vita bagna e arrivano talvolta delle vere "bombe d'acqua" ... qui a Genova ci siamo ormai abituati! quelle non solo ti bagnano, ti travolgono, ti mettono nel rischio di annegare. A quel punto, immerso in un'acqua fangosa e terrificante hai due possibilità: o nuoti o anneghi. Se nuoti forse all'inizio lo fai per pura azione meccanica, ma poi la tua mente seguirà le braccia edd inizierà a darsi una meta ...

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Lorenzo
29/9/2016 12:13:07 pm

Cara Alessandra, condivido le tue riflessioni e il tuo coraggio. Un abbraccio lorenzo

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Psicologo – Psicoterapeuta dell'approccio Cognitivo e Corporeo
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