
Credo che tutti, nel cercare di essere migliori, desideriamo organizzare la nostra vita al meglio: nello studio, nel lavoro, nello sport, nelle relazioni famigliari. Questo cercare di essere migliori, di fare bene le cose, di essere efficienti, se non perfetti, rappresenta, da una parte, la spinta motivazionale alla realizzazione di grandi progetti, dall’altra, rappresenta un incentivo a non scoraggiarsi di fronte agli ostacoli.
E fin qui siamo tutti d’accordo.
Ma quando uno studente studia (con enormi sacrifici di tempo e di sonno) per prendere 30 agli esami e il 28 non l’accetta che a malincuore, il 26 gli fa venire la gastrite e un senso di ribellione, il 24 lo fa infuriare; quando una ragazza inizia una dieta e il grammo diventa una linea Maginot; quando l’atleta cerca di essere cavilloso in ogni momento dell’allenamento e della gara e autorizza se stesso a rituali artificiosi; quando nel lavoro tutto deve filare come una macchina da guerra e il clima tra i colleghi è critico, doveristico e autoritario; quando in famiglia e in casa, tutto deve essere perfetto, pulito, ordinato in modo maniacale; etc., allora siamo in presenza di qualcosa che non suona più naturale e condivisibile.
Siamo in presenza di un perfettismo che tende a maggiori prestazioni e forse al raggiungimento degli scopi prefissati, ma porta ad un perfezionismo che fa male dentro. Dentro la persona e dentro il sistema di cui fa parte. Le emozioni, la creatività e l’entusiasmo, vanno a farsi friggere. Le regole e la critica, dirigono la vita. E accadono tre cose importanti: nel cercare di essere perfetto, la persona impedisce a se stesso la ricerca di novità e alternative; provando una forte autocritica, non impedisce le critiche altrui ed i danni collaterali ai propri insuccessi; e, vincolando l’approvazione degli altri alle proprie alte aspettative, si sottopone ad un’ansia e ad un’angoscia insopportabili.
Tutto questo genera un conflitto interno: tra un IO (libidico) che tende a cercare naturali soddisfazioni e piaceri, e un IO (antilibidico, oppositivo e antagonista) che sequestra le energie vitali per scopi ideali. Non se ne esce fin quando non si osservano con distacco i propri tratti perfezionistici insieme agli standard ideali, e li si mette su una bilancia cercando di soppesare i costi, i benefici e il senso della realtà. E non è finita. Dato che la perfezione non è di questa terra e viviamo in un mondo che non è perfetto, occorre accettare che la perfezione sia uno stato mentale pericoloso. In definitiva, difficile da appagare e soddisfare.
E fin qui siamo tutti d’accordo.
Ma quando uno studente studia (con enormi sacrifici di tempo e di sonno) per prendere 30 agli esami e il 28 non l’accetta che a malincuore, il 26 gli fa venire la gastrite e un senso di ribellione, il 24 lo fa infuriare; quando una ragazza inizia una dieta e il grammo diventa una linea Maginot; quando l’atleta cerca di essere cavilloso in ogni momento dell’allenamento e della gara e autorizza se stesso a rituali artificiosi; quando nel lavoro tutto deve filare come una macchina da guerra e il clima tra i colleghi è critico, doveristico e autoritario; quando in famiglia e in casa, tutto deve essere perfetto, pulito, ordinato in modo maniacale; etc., allora siamo in presenza di qualcosa che non suona più naturale e condivisibile.
Siamo in presenza di un perfettismo che tende a maggiori prestazioni e forse al raggiungimento degli scopi prefissati, ma porta ad un perfezionismo che fa male dentro. Dentro la persona e dentro il sistema di cui fa parte. Le emozioni, la creatività e l’entusiasmo, vanno a farsi friggere. Le regole e la critica, dirigono la vita. E accadono tre cose importanti: nel cercare di essere perfetto, la persona impedisce a se stesso la ricerca di novità e alternative; provando una forte autocritica, non impedisce le critiche altrui ed i danni collaterali ai propri insuccessi; e, vincolando l’approvazione degli altri alle proprie alte aspettative, si sottopone ad un’ansia e ad un’angoscia insopportabili.
Tutto questo genera un conflitto interno: tra un IO (libidico) che tende a cercare naturali soddisfazioni e piaceri, e un IO (antilibidico, oppositivo e antagonista) che sequestra le energie vitali per scopi ideali. Non se ne esce fin quando non si osservano con distacco i propri tratti perfezionistici insieme agli standard ideali, e li si mette su una bilancia cercando di soppesare i costi, i benefici e il senso della realtà. E non è finita. Dato che la perfezione non è di questa terra e viviamo in un mondo che non è perfetto, occorre accettare che la perfezione sia uno stato mentale pericoloso. In definitiva, difficile da appagare e soddisfare.