
In ogni incontro, sia individuale che di gruppo, emergono spesso due richieste. Una di leggerezza: ‘sono stanco di portarmi addosso i pesi del mondo’, l’altra di centratura: ‘voglio stare bene con me stesso e capire cosa veramente voglio’.
Quando si chiudono gli occhi e si esplora la coscienza sotto forma di sensazioni, immagini, pensieri, emozioni, e movimenti, ci si apre a una domanda essenziale (‘sono un punto di riferimento per me stesso?’) e al respiro (‘cosa sento e cosa provo?’).
E’ li che spesso ci sentiamo confusi. Con tutti i metodi che conosciamo, di rilassamento e di meditazione, di movimento consapevole e di energie più o meno sottili, non è chiaro a quale ‘centro’ di osservazione sia utile riferirsi.
E’ il grounding, il sesso, il respiro, il cuore, la gola, la testa, immagini interiori o altro fuori di noi?
Penso che il ‘centro’ sia riferibile alla pluralità delle forze in gioco. Noi cogliamo delle cose, percepiamo delle armonie, rileviamo un allineamento di forze e la nostra coscienza, da quel palcoscenico speciale di vuoto e di silenzio, può rilevare in modo ‘neutrale’ e oggettivo ciò che accade.
Naturalmente non accade spesso di sentirsi partecipi e fruitori di un gioco di forze così suggestivo, mentre è più probabile che diverse azioni meditative provochino sintonizzazioni specifiche.
Faccio un esempio con il respiro.
Quando si respira in modo consapevole, penso al movimento percepito dell’espansione e della contrazione, alla qualità dei muscoli coinvolti e ai processi, ma soprattutto penso all’onda respiratoria che spazia nel corpo e consente di arrivare a percepire un respiro vasto e profondo. Un’immobilità speciale nella quale l’attenzione si sintonizza su un piano di osservazione e di intenzione. Una consapevolezza, appunto, centrata nel respiro.
E’ in quel momento che possiamo definirci centrati? Nello specifico del respiro, penso di sì! Il respiro diventa una cassa di risonanza, un radioscopio, per una molteplicità di movimenti interiori.
Stiamo osservando ciò che accade con sereno distacco (pensieri su quotidianità, famiglia, relazioni, lavoro, mondo), stiamo esplorando ciò che c’è, compresi gli stati d’animo negativi come disagio, depressione, senso di abbandono, separazione o colpa; percepiamo una pluralità di informazioni che pullulano. Una parte di noi è infastidita da tali forze e chiede la prova di un’attenzione oggettiva. Stiamo partecipando al movimento emergente, intuitivo e creativo, di più voci nascoste e rimaniamo in uno stato di leggerezza interiore.
Quindi, più che ad un centro unico e speciale, penso a una sintonizzazione di stati mentali e processi energetici. Più che a risposte sulla vita, penso al silenzio interiore e all’osservazione oggettiva. Più che alla ricerca della risposta delle risposte, penso all’emergenza di immagini e pensieri da sperimentare e conoscere.
Quando si chiudono gli occhi e si esplora la coscienza sotto forma di sensazioni, immagini, pensieri, emozioni, e movimenti, ci si apre a una domanda essenziale (‘sono un punto di riferimento per me stesso?’) e al respiro (‘cosa sento e cosa provo?’).
E’ li che spesso ci sentiamo confusi. Con tutti i metodi che conosciamo, di rilassamento e di meditazione, di movimento consapevole e di energie più o meno sottili, non è chiaro a quale ‘centro’ di osservazione sia utile riferirsi.
E’ il grounding, il sesso, il respiro, il cuore, la gola, la testa, immagini interiori o altro fuori di noi?
Penso che il ‘centro’ sia riferibile alla pluralità delle forze in gioco. Noi cogliamo delle cose, percepiamo delle armonie, rileviamo un allineamento di forze e la nostra coscienza, da quel palcoscenico speciale di vuoto e di silenzio, può rilevare in modo ‘neutrale’ e oggettivo ciò che accade.
Naturalmente non accade spesso di sentirsi partecipi e fruitori di un gioco di forze così suggestivo, mentre è più probabile che diverse azioni meditative provochino sintonizzazioni specifiche.
Faccio un esempio con il respiro.
Quando si respira in modo consapevole, penso al movimento percepito dell’espansione e della contrazione, alla qualità dei muscoli coinvolti e ai processi, ma soprattutto penso all’onda respiratoria che spazia nel corpo e consente di arrivare a percepire un respiro vasto e profondo. Un’immobilità speciale nella quale l’attenzione si sintonizza su un piano di osservazione e di intenzione. Una consapevolezza, appunto, centrata nel respiro.
E’ in quel momento che possiamo definirci centrati? Nello specifico del respiro, penso di sì! Il respiro diventa una cassa di risonanza, un radioscopio, per una molteplicità di movimenti interiori.
Stiamo osservando ciò che accade con sereno distacco (pensieri su quotidianità, famiglia, relazioni, lavoro, mondo), stiamo esplorando ciò che c’è, compresi gli stati d’animo negativi come disagio, depressione, senso di abbandono, separazione o colpa; percepiamo una pluralità di informazioni che pullulano. Una parte di noi è infastidita da tali forze e chiede la prova di un’attenzione oggettiva. Stiamo partecipando al movimento emergente, intuitivo e creativo, di più voci nascoste e rimaniamo in uno stato di leggerezza interiore.
Quindi, più che ad un centro unico e speciale, penso a una sintonizzazione di stati mentali e processi energetici. Più che a risposte sulla vita, penso al silenzio interiore e all’osservazione oggettiva. Più che alla ricerca della risposta delle risposte, penso all’emergenza di immagini e pensieri da sperimentare e conoscere.