
Quando viviamo l’esplosione di immagini, incubi e altre esistenze, frutto di realtà che sradicano l’albero maestro del nostro Io, ci difetta la capacità di vedere il cervello in azione e di imparare a regolarlo.
Ci manca lo scanner cerebrale che ci consente di vedere tutti i movimenti interiori automatici e ci mancano le azioni che permettono la sana coordinazione dei vissuti dolorosi. Manca il controllo degli impulsi e le strategie per poterli vigilare.
Da lì, il passo è breve. Non si dorme, lo stress arriva a livelli altissimi, ci si rabbuia e ci si perde.
Per sopravvivere ci si appoggia a sicurezze note: il papà, la mamma, il medico, l’amico, il compagno, i figli. Ci diciamo che, in fondo, è naturale avere bisogno dei neuroni degli altri esseri umani e in effetti abbiamo tutti la necessità di connettere il nostro organismo con quello degli altri.
Per questo desideriamo, e temiamo allo stesso tempo, percepire il fremito vitale della rete del nostro mondo di relazioni.
Per gestire tali pulsazioni, controlliamo le persone, sentiamo il loro dolore, giudichiamo le loro intenzioni e decifriamo le loro emozioni. Ridiamo e piangiamo.
Non vediamo solo i comportamenti, vediamo i significati, le motivazioni, le emozioni. Diamo giudizi. Attraverso quelle valutazioni, vediamo aprirsi il nostro libro, la nostra storia, la nostra vita.
Ci impegniamo molto affinché tale narrazione scorra, ma quando non avviene, per i più diversi motivi, si scendono le scale dello smarrimento e dell’alienazione.
Il nostro cervello possiede l’istinto innato per distinguere chi è degno di fiducia e chi non lo è. Le persone sensibili hanno un radar speciale che va oltre le parole: interpretano i movimenti del corpo, i silenzi, le distanze e ne soffrono. Per costoro, non basta difendersi vedendo la realtà in bianco e nero.
Per compensare tali mancanze, hanno bisogno di vedere i colori e valorizzare quello che c’è e che funziona. Hanno bisogno di riuscire a vedere un canale di comunicazione tentacolare e sistemare, come un buon meccanico, quello che succede ‘dentro il cofano’ della mente. E, coraggiosamente, assomigliare sempre più a chi desiderano essere.
Ci manca lo scanner cerebrale che ci consente di vedere tutti i movimenti interiori automatici e ci mancano le azioni che permettono la sana coordinazione dei vissuti dolorosi. Manca il controllo degli impulsi e le strategie per poterli vigilare.
Da lì, il passo è breve. Non si dorme, lo stress arriva a livelli altissimi, ci si rabbuia e ci si perde.
Per sopravvivere ci si appoggia a sicurezze note: il papà, la mamma, il medico, l’amico, il compagno, i figli. Ci diciamo che, in fondo, è naturale avere bisogno dei neuroni degli altri esseri umani e in effetti abbiamo tutti la necessità di connettere il nostro organismo con quello degli altri.
Per questo desideriamo, e temiamo allo stesso tempo, percepire il fremito vitale della rete del nostro mondo di relazioni.
Per gestire tali pulsazioni, controlliamo le persone, sentiamo il loro dolore, giudichiamo le loro intenzioni e decifriamo le loro emozioni. Ridiamo e piangiamo.
Non vediamo solo i comportamenti, vediamo i significati, le motivazioni, le emozioni. Diamo giudizi. Attraverso quelle valutazioni, vediamo aprirsi il nostro libro, la nostra storia, la nostra vita.
Ci impegniamo molto affinché tale narrazione scorra, ma quando non avviene, per i più diversi motivi, si scendono le scale dello smarrimento e dell’alienazione.
Il nostro cervello possiede l’istinto innato per distinguere chi è degno di fiducia e chi non lo è. Le persone sensibili hanno un radar speciale che va oltre le parole: interpretano i movimenti del corpo, i silenzi, le distanze e ne soffrono. Per costoro, non basta difendersi vedendo la realtà in bianco e nero.
Per compensare tali mancanze, hanno bisogno di vedere i colori e valorizzare quello che c’è e che funziona. Hanno bisogno di riuscire a vedere un canale di comunicazione tentacolare e sistemare, come un buon meccanico, quello che succede ‘dentro il cofano’ della mente. E, coraggiosamente, assomigliare sempre più a chi desiderano essere.