
Passano i mesi e gli anni, ma con la perdita della persona cara è difficile perdonarsi o perdonare, o lasciare andare il dolore: gli occhi sono velati e la luce si è spenta.
Quando il dolore dell’abbandono viene protratto negli anni diventa una cosa inconcepibile: disumana. E’ allora, che occorre dare un senso ai ‘viaggi del dolore’ fatti di incontri, conferenze, colloqui, lacrime.
Non si desidera far penetrare il dolore in profondità, fino alle soglie della sopravvivenza e diventare puntigliosi, sofferenti o peggio squilibrati. Però si desidera condividere la perdita, perché l’emozione è pesante. Nel cuore c’è un macigno. E nelle persone più vicine c’è comprensione.
Il congiunto è là, nel nostro luogo di fede ad ascoltare, a dialogare con noi e talvolta a rispondere alle nostre domande e a regalarci momenti di sollievo.
Col tempo il dolore si diluisce e si trasforma. Diventa aiuto agli altri con una qualità che avremmo voluto dedicare in vita all’amato.
Ma i viaggi di trasformazione del dolore ci portano verso una comprensione più articolata, una vicinanza più astratta, un affetto che fa il giro del mondo.
Si comincia ad amare il lato solare dei ricordi, ma anche il lato buio delle mancanze, perché sollecitano il nostro essere migliori sia come genitori, con le proprie risorse e mancanze, sia come compagni di sventura e di dolore.
Camminare alla ricerca della comprensione del lato buio delle cose fa bene quando stimola incontri, conoscenze e vite diverse: una curiosità che colma il cuore. Per alcune persone è una necessità. Per altre, invece, è utile appoggiare definitivamente la pietra tombale e aprire un nuovo orizzonte di vita sociale.
Sono prospettive diverse: una persona continua la ricerca per trovare l’unione con l’amato bene, l’altra accetta l’evento di natura e abbraccia la propria sopravvivenza.
Quando il dolore dell’abbandono viene protratto negli anni diventa una cosa inconcepibile: disumana. E’ allora, che occorre dare un senso ai ‘viaggi del dolore’ fatti di incontri, conferenze, colloqui, lacrime.
Non si desidera far penetrare il dolore in profondità, fino alle soglie della sopravvivenza e diventare puntigliosi, sofferenti o peggio squilibrati. Però si desidera condividere la perdita, perché l’emozione è pesante. Nel cuore c’è un macigno. E nelle persone più vicine c’è comprensione.
Il congiunto è là, nel nostro luogo di fede ad ascoltare, a dialogare con noi e talvolta a rispondere alle nostre domande e a regalarci momenti di sollievo.
Col tempo il dolore si diluisce e si trasforma. Diventa aiuto agli altri con una qualità che avremmo voluto dedicare in vita all’amato.
Ma i viaggi di trasformazione del dolore ci portano verso una comprensione più articolata, una vicinanza più astratta, un affetto che fa il giro del mondo.
Si comincia ad amare il lato solare dei ricordi, ma anche il lato buio delle mancanze, perché sollecitano il nostro essere migliori sia come genitori, con le proprie risorse e mancanze, sia come compagni di sventura e di dolore.
Camminare alla ricerca della comprensione del lato buio delle cose fa bene quando stimola incontri, conoscenze e vite diverse: una curiosità che colma il cuore. Per alcune persone è una necessità. Per altre, invece, è utile appoggiare definitivamente la pietra tombale e aprire un nuovo orizzonte di vita sociale.
Sono prospettive diverse: una persona continua la ricerca per trovare l’unione con l’amato bene, l’altra accetta l’evento di natura e abbraccia la propria sopravvivenza.