
Comincia nella testa, la propensione a un atteggiamento che accetta i limiti, i sorrisi e le diversità dell’altro. L’ostacolo, nei casi migliori è culturale. Nel peggiore riguarda le nevrosi personali.
Come genitori, a volte ci sentiamo spugnosi, con la faccia negli occhi del malcapitato, con la critica sulla punta della lingua e il giudizio in tasca. E così, non riusciamo a bruciare la lampadina dell’osservatore critico e a comunicare al momento opportuno. Ce ne accorgiamo dopo.
Come genitori siamo gelosi del nostro impegno, del nostro territorio d’amore e della nostra buona fede.
Il dramma si consuma quando l’altro fa se stesso. Quando fa il diverso, quando gioisce, quando tradisce la fiducia, pena un Vesuvio di psicosi.
La genitorialità è un concetto esteso e la verifica è amara. Dal genitore che accudisce i figli, dall’imprenditore che assiste acquirenti e fornitori, dal professionista che cura i propri clienti, siamo tutti protagonisti di una presenza insicura, talvolta asfissiante, con punte di malcelata gelosia. Ma l’altro, il figlio, l’amico, il cliente, il paziente, l’acquirente, hanno necessità di sperimentare, hanno bisogno di dimostrare e di conoscere. Perché impedirlo? O perché starci male, se accade?
Perché bisogna stare attaccati all’altro come una prugna, un piragna, un serpente o un gatto arrabbiato? Perché dobbiamo scontornare le sue giornate? Perché ci sembra che 100.000 problemi ci vengano contromano?
Le fatiche dell'altro nell'affrontare le giornate, sono già impegnative.
Evitiamo le informazioni che, seppur date in buona fede, non fanno vivere. Non guardiamo l’altro con espressioni indiavolate come il fuoco. Smettiamo di vivere con l’ombra e con la foto.
Mandiamo messaggi di vita. Scegliamo domande che addolciscano il peso del vivere. Facciamo proposte da podio o da classificato. Facciamo telefonate eccezionali. Parliamo di bene, di affetto, di propensioni. Sentiamoci amici, spalle, complici.
Facciamo sentire l’altro felice di condividere i suoi regali, le sue conquiste, le sue gioie, insieme alle sue debolezze, paure, dubbi. Lasciamolo libero di essere se stesso.
Sperimentiamo la genitorialità, figlia della vita.
Come genitori, a volte ci sentiamo spugnosi, con la faccia negli occhi del malcapitato, con la critica sulla punta della lingua e il giudizio in tasca. E così, non riusciamo a bruciare la lampadina dell’osservatore critico e a comunicare al momento opportuno. Ce ne accorgiamo dopo.
Come genitori siamo gelosi del nostro impegno, del nostro territorio d’amore e della nostra buona fede.
Il dramma si consuma quando l’altro fa se stesso. Quando fa il diverso, quando gioisce, quando tradisce la fiducia, pena un Vesuvio di psicosi.
La genitorialità è un concetto esteso e la verifica è amara. Dal genitore che accudisce i figli, dall’imprenditore che assiste acquirenti e fornitori, dal professionista che cura i propri clienti, siamo tutti protagonisti di una presenza insicura, talvolta asfissiante, con punte di malcelata gelosia. Ma l’altro, il figlio, l’amico, il cliente, il paziente, l’acquirente, hanno necessità di sperimentare, hanno bisogno di dimostrare e di conoscere. Perché impedirlo? O perché starci male, se accade?
Perché bisogna stare attaccati all’altro come una prugna, un piragna, un serpente o un gatto arrabbiato? Perché dobbiamo scontornare le sue giornate? Perché ci sembra che 100.000 problemi ci vengano contromano?
Le fatiche dell'altro nell'affrontare le giornate, sono già impegnative.
Evitiamo le informazioni che, seppur date in buona fede, non fanno vivere. Non guardiamo l’altro con espressioni indiavolate come il fuoco. Smettiamo di vivere con l’ombra e con la foto.
Mandiamo messaggi di vita. Scegliamo domande che addolciscano il peso del vivere. Facciamo proposte da podio o da classificato. Facciamo telefonate eccezionali. Parliamo di bene, di affetto, di propensioni. Sentiamoci amici, spalle, complici.
Facciamo sentire l’altro felice di condividere i suoi regali, le sue conquiste, le sue gioie, insieme alle sue debolezze, paure, dubbi. Lasciamolo libero di essere se stesso.
Sperimentiamo la genitorialità, figlia della vita.