
In ogni iniziativa, progetto, impresa non siamo soli. Siamo in contatto con noi e la nostra folla interiore, di desideri e sogni, e con gli altri ed i loro bisogni. Siamo una squadra. Con gli altri collaboriamo, ci estendiamo, ci investiamo e ci affezioniamo. Siamo individualisti. ma nel contempo partecipiamo, ci sosteniamo e a volte ci appoggiamo. Li includiamo per condividere, soprattutto nelle piccole imprese, creando uno sfondo di famiglia allargata.
Ma quando nel lavoro, qualcuno con cui abbiamo collaborato per anni, va via malamente, si aprono le porte a sensazioni di fallimento, di sorpresa, di delusione.
L’abbattimento che l’Io subisce attraverso una regressione delle proprie reazioni emozionali e dei pensieri, a tali frustrazioni, è travolgente e logorante. Mina il sonno, la sicurezza, la fiducia.
Si contattano emozioni e ragionamenti arcaici, che non ci consentono di farne tesoro o di adottare le strategie più adeguate alla contingenza.
E allora si sperimenta il fallimento del quadro operativo, ci si sente in colpa per un senso di inadeguatezza; ci si sente feriti nei principi, di lealtà e di valori; ci si sente attaccati nel profondo dei propri equilibri emotivi e di legame. Ci si sente impotenti nell’agire e reagire.
Nel pensare a quello che si è fatto e che non è bastato, si aprono voragini di dubbi nel valore stesso della nostra proposta e di noi. All’inizio si annaspa nella gestione razionale dei problemi e delle giustificazioni. Ma poi si diventa vendicativi, paranoici, controllanti. Come quando da bambini ci si trovava impotenti a piangere di fronte ad un mondo che non ci capiva e comprendeva.
Così, come un pugile suonato all’angolo del ring, si perde il ritmo e la musica dei propri movimenti interiori, si perde l’essenza del buon combattente, del serio collaboratore e del capace imprenditore.
Ma bisogna sapere che queste esperienze sono lezioni della vita per danze nuove. Qualcosa si lascia e qualcosa si tiene. Ma soprattutto, si va avanti.
Ma quando nel lavoro, qualcuno con cui abbiamo collaborato per anni, va via malamente, si aprono le porte a sensazioni di fallimento, di sorpresa, di delusione.
L’abbattimento che l’Io subisce attraverso una regressione delle proprie reazioni emozionali e dei pensieri, a tali frustrazioni, è travolgente e logorante. Mina il sonno, la sicurezza, la fiducia.
Si contattano emozioni e ragionamenti arcaici, che non ci consentono di farne tesoro o di adottare le strategie più adeguate alla contingenza.
E allora si sperimenta il fallimento del quadro operativo, ci si sente in colpa per un senso di inadeguatezza; ci si sente feriti nei principi, di lealtà e di valori; ci si sente attaccati nel profondo dei propri equilibri emotivi e di legame. Ci si sente impotenti nell’agire e reagire.
Nel pensare a quello che si è fatto e che non è bastato, si aprono voragini di dubbi nel valore stesso della nostra proposta e di noi. All’inizio si annaspa nella gestione razionale dei problemi e delle giustificazioni. Ma poi si diventa vendicativi, paranoici, controllanti. Come quando da bambini ci si trovava impotenti a piangere di fronte ad un mondo che non ci capiva e comprendeva.
Così, come un pugile suonato all’angolo del ring, si perde il ritmo e la musica dei propri movimenti interiori, si perde l’essenza del buon combattente, del serio collaboratore e del capace imprenditore.
Ma bisogna sapere che queste esperienze sono lezioni della vita per danze nuove. Qualcosa si lascia e qualcosa si tiene. Ma soprattutto, si va avanti.