
Sono veri i gesti d’affetto e le parole di conforto dopo la rottura di una storia? L’una dice ‘ti amo e non capisco. Mi hai voltato le spalle!’. L’altro dice: ‘ti voglio bene e sono dispiaciuto, ma non mi hai ascoltato!’.
Se sono vere le parole, e non c’è motivo di dubitare, la speranza libera emozioni in entrambi, ma per chi soffre i pensieri fanno posto a ogni scusa, difetto e colpa, per ritornare al punto di ripristino, a prima della rottura. Purtroppo, gli effetti delle braccia aperte che si allacciano nel vuoto non reintegrano l’amore.
Quando siamo seduti nel campo inaridito dell’amore, le fughe nel lavoro e nel divertimento non mancano, ma sono transitorie. Arriva il momento del divano, del tempo lento e del dolore fisico, dove non amiamo stare soli (niente da fare, nessuno con cui parlare, timorosi di chiedere e disturbare chi ha già una propria vita) e partono i messaggi, gli sms: ‘guarda quello che mi stai facendo! Senti come sto male?! Senti la mia disperazione?!’
In quel campo di battaglia drammatico, si sente qualcosa di brutto: non si sente più la vita. Si sente l’abbandono, la solitudine, il vuoto. Non si riesce più a formulare un pensiero sulla vita.
Il corpo è nella trappola dell’angoscia, il cuore piange e lo sconforto è dentro. Si guardano i film di sofferenti.
Per un lungo periodo di tempo, si sta male perché non si pensa di essere capaci di rialzarsi da soli. Si è proiettati sull’altro e sulle lacrime della pioggia. Si augura all’altro di trovare la compagna ‘giusta’, che spenda e che non abbia un lavoro, un amore con le corna che lo faccia soffrire. Ecco, questa è la collera per l’abbandono.
In quell’abbandono però non si riesce a percepire l’idea di un’altra vita e di un altro futuro. Fino a che, e qui la dico brutta, il pensiero non prende una distanza abissale dalle emozioni e formula queste idee: ‘alla fine, sto male per una persona che ho incontrato per la strada’. ‘Sto male per una persona che era interessata alla sua pelle e ai miei prodotti, ma non a me’.
Queste sono due frasi stizzite che, quando si formulano per due o tre volte, è come andare in barca a omaggiare le tempeste che servono per diventare migliori marinai del proprio a-mare.
Se sono vere le parole, e non c’è motivo di dubitare, la speranza libera emozioni in entrambi, ma per chi soffre i pensieri fanno posto a ogni scusa, difetto e colpa, per ritornare al punto di ripristino, a prima della rottura. Purtroppo, gli effetti delle braccia aperte che si allacciano nel vuoto non reintegrano l’amore.
Quando siamo seduti nel campo inaridito dell’amore, le fughe nel lavoro e nel divertimento non mancano, ma sono transitorie. Arriva il momento del divano, del tempo lento e del dolore fisico, dove non amiamo stare soli (niente da fare, nessuno con cui parlare, timorosi di chiedere e disturbare chi ha già una propria vita) e partono i messaggi, gli sms: ‘guarda quello che mi stai facendo! Senti come sto male?! Senti la mia disperazione?!’
In quel campo di battaglia drammatico, si sente qualcosa di brutto: non si sente più la vita. Si sente l’abbandono, la solitudine, il vuoto. Non si riesce più a formulare un pensiero sulla vita.
Il corpo è nella trappola dell’angoscia, il cuore piange e lo sconforto è dentro. Si guardano i film di sofferenti.
Per un lungo periodo di tempo, si sta male perché non si pensa di essere capaci di rialzarsi da soli. Si è proiettati sull’altro e sulle lacrime della pioggia. Si augura all’altro di trovare la compagna ‘giusta’, che spenda e che non abbia un lavoro, un amore con le corna che lo faccia soffrire. Ecco, questa è la collera per l’abbandono.
In quell’abbandono però non si riesce a percepire l’idea di un’altra vita e di un altro futuro. Fino a che, e qui la dico brutta, il pensiero non prende una distanza abissale dalle emozioni e formula queste idee: ‘alla fine, sto male per una persona che ho incontrato per la strada’. ‘Sto male per una persona che era interessata alla sua pelle e ai miei prodotti, ma non a me’.
Queste sono due frasi stizzite che, quando si formulano per due o tre volte, è come andare in barca a omaggiare le tempeste che servono per diventare migliori marinai del proprio a-mare.