Guardare in faccia la realtà nella vita di coppia è un esercizio molto complesso di domande, di problemi, di prospettive. Le domande cercano risposte, i problemi cercano soluzioni, le prospettive cercano nuovi punti di vista.
Qual è il dilemma da risolvere per ogni protagonista? Cercare, o subire meno, le risposte alle domande, ai problemi e alle prospettive.
Spesso il/la protagonista si pone domande molto belle e significative, di estrema importanza, ma continua a soffrire. Continua a soppesare i problemi come fossero gli ultimi. Continua a cercare nuove prospettive, ma i conti non tornano. E diventa molto difficile guardare in faccia la realtà senza perdersi nelle proprie aspettative, nei propri equilibri passati, nelle proprie memorie consolatrici.
Purtroppo, se c’è una domanda in corso, c’è bisogno di chiarezza; se c’è un problema di coppia, c’è un mal d’amore; se c’è una prospettiva limitata, c’è una carenza di visione.
In tutti i casi, spetta a noi fare qualcosa sapendo che è nella domanda che bisogna trovare la risposta, è nel problema che si trova la soluzione, è nell’allargamento delle prospettive che si modificano gli algoritmi per nuovi punti di vista.
Prendiamo ad esempio la prospettiva con cui guardiamo qualcosa.
Vi mostro questa figura che può essere vista in due modi: un papero o un coniglio. Non è difficile distinguerli se per vedere il papero guardiamo il becco a sinistra e se per vedere il coniglio guardiamo il profilo a destra.
Qual è il dilemma da risolvere per ogni protagonista? Cercare, o subire meno, le risposte alle domande, ai problemi e alle prospettive.
Spesso il/la protagonista si pone domande molto belle e significative, di estrema importanza, ma continua a soffrire. Continua a soppesare i problemi come fossero gli ultimi. Continua a cercare nuove prospettive, ma i conti non tornano. E diventa molto difficile guardare in faccia la realtà senza perdersi nelle proprie aspettative, nei propri equilibri passati, nelle proprie memorie consolatrici.
Purtroppo, se c’è una domanda in corso, c’è bisogno di chiarezza; se c’è un problema di coppia, c’è un mal d’amore; se c’è una prospettiva limitata, c’è una carenza di visione.
In tutti i casi, spetta a noi fare qualcosa sapendo che è nella domanda che bisogna trovare la risposta, è nel problema che si trova la soluzione, è nell’allargamento delle prospettive che si modificano gli algoritmi per nuovi punti di vista.
Prendiamo ad esempio la prospettiva con cui guardiamo qualcosa.
Vi mostro questa figura che può essere vista in due modi: un papero o un coniglio. Non è difficile distinguerli se per vedere il papero guardiamo il becco a sinistra e se per vedere il coniglio guardiamo il profilo a destra.

Questo ci indica che per rispondere a una domanda o affrontare un problema abbiamo almeno due o più punti di vista a cui fare riferimento, purché abbiamo la capacità di vedere da più angolazioni. Questo è un primo problema percettivo.
Il secondo disegno che vi propongo è un po’ diverso. Come vedete ci sono punti in sequenza di punti distribuiti uniformemente sul foglio. Con una caratteristica. Se ci avviciniamo si vedono solo sequenze di punti. Se ci allontaniamo abbiamo la possibilità di vedere sullo sfondo, la sagoma di un viso.
Il secondo disegno che vi propongo è un po’ diverso. Come vedete ci sono punti in sequenza di punti distribuiti uniformemente sul foglio. Con una caratteristica. Se ci avviciniamo si vedono solo sequenze di punti. Se ci allontaniamo abbiamo la possibilità di vedere sullo sfondo, la sagoma di un viso.

Questo cosa vuol dire? Che quando guardiamo qualcosa, che ci sembra alla giusta distanza, vediamo ‘solo’ puntini. Se allontaniamo il foglio vediamo altro. Così, come accade in molte situazioni. Quando ci allontaniamo dal problema, possiamo vedere dettagli con più precisione e siamo meno emotivamente coinvolti.
In fondo è ciò che ci diciamo ogni volta che abbiamo superato una complicazione: ‘ormai è un problema lontano!’; ‘è qualcosa che non vedo più nello stesso modo’.
Un'altra figura intrigante fatta di sole macchie nere indistinte diventa una faccia di mucca una volta che ci viene suggerita la soluzione. Cosa vuol dire? Che quando noi non vediamo qualcosa, perché siamo confusi o non abbiamo chiavi di lettura di determinate situazioni, brancoliamo nel buio. Ma se qualcuno ci mostra una via, quella via diventa talmente forte che non riusciamo più a tornare indietro. Non vediamo più solo macchie nere.
In fondo è ciò che ci diciamo ogni volta che abbiamo superato una complicazione: ‘ormai è un problema lontano!’; ‘è qualcosa che non vedo più nello stesso modo’.
Un'altra figura intrigante fatta di sole macchie nere indistinte diventa una faccia di mucca una volta che ci viene suggerita la soluzione. Cosa vuol dire? Che quando noi non vediamo qualcosa, perché siamo confusi o non abbiamo chiavi di lettura di determinate situazioni, brancoliamo nel buio. Ma se qualcuno ci mostra una via, quella via diventa talmente forte che non riusciamo più a tornare indietro. Non vediamo più solo macchie nere.

Non riusciamo più a cambiare prospettiva. Invariabilmente il profilo della mucca si presenta senza alternative.
In questi tre esempi abbiamo la possibilità di riflettere sulla soluzione dei quesiti iniziali: domande e problemi.
Abbiamo la libertà, nella prima figura, di cambiare facilmente la prospettiva, dipende da dove guardiamo, a destra o sinistra; nel secondo disegno possiamo allontanarci dal foglio e vedere nello sfondo la sagoma di un viso; o possiamo rimanere incastrati nella nuova prospettiva del terzo disegno.
Quello che dobbiamo accettare è che siamo vincolati alle nostre prospettive mentali, talvolta confuse e/o limitate, e dobbiamo cercare le risposte ai nostri quesiti nelle domande e nei problemi stessi rivolgendoci a processi interiori più intriganti.
L’esempio della tecnica di Focusing (di E. Gendlin) può esserci di aiuto.
Spesso ci poniamo la domanda: ‘come posso cambiare questo stato di cose? Se il problema è questo, come posso affrontarlo? Come posso agire diversamente, visti gli esiti precedenti?
E altrettante volte le risposte arrivano da fuori, dagli altri. Si chiamano consigli. Ma la risposta deve partire da noi. La domanda è nostra e la risposta è altrettanto nostra.
La domanda si mette al centro della nostra riflessione. Non dobbiamo fare altro che percepire e sentire il problema nella sua essenza. E qui viene il bello.
Occorre partire da uno stato di silenzio interiore, da un ascolto sentito e corporeo per lasciare emergere e osservare quello che succede. Ci si focalizza su una sensazione che abbia attinenza con la nostra domanda iniziale, una realtà sentita, in modo da avere una percezione indefinita del nostro stato. Dalla sensazione vaga si inizia a simbolizzare con parole quello che si prova fino a che non si trova la risposta più adatta alla sensazione. Si controlla se la sensazione, la parola o l’immagine, risuonano tra loro e si va in profondità per comprendere cosa rende il problema così rilevante. In pratica si cerca di riconoscere nella realtà sensibile del corpo, questo profondo centro di risonanza interiore, una risposta generativa e creativa, fatta di intuizione, sollievo, rilassamento.
A volte le risposte non ci piacciono, ma quello che ci serve è sentir sorgere dall’interno un’esperienza vitale che trasformi il sentire corporeo in percezione creativa della realtà.
In questi tre esempi abbiamo la possibilità di riflettere sulla soluzione dei quesiti iniziali: domande e problemi.
Abbiamo la libertà, nella prima figura, di cambiare facilmente la prospettiva, dipende da dove guardiamo, a destra o sinistra; nel secondo disegno possiamo allontanarci dal foglio e vedere nello sfondo la sagoma di un viso; o possiamo rimanere incastrati nella nuova prospettiva del terzo disegno.
Quello che dobbiamo accettare è che siamo vincolati alle nostre prospettive mentali, talvolta confuse e/o limitate, e dobbiamo cercare le risposte ai nostri quesiti nelle domande e nei problemi stessi rivolgendoci a processi interiori più intriganti.
L’esempio della tecnica di Focusing (di E. Gendlin) può esserci di aiuto.
Spesso ci poniamo la domanda: ‘come posso cambiare questo stato di cose? Se il problema è questo, come posso affrontarlo? Come posso agire diversamente, visti gli esiti precedenti?
E altrettante volte le risposte arrivano da fuori, dagli altri. Si chiamano consigli. Ma la risposta deve partire da noi. La domanda è nostra e la risposta è altrettanto nostra.
La domanda si mette al centro della nostra riflessione. Non dobbiamo fare altro che percepire e sentire il problema nella sua essenza. E qui viene il bello.
Occorre partire da uno stato di silenzio interiore, da un ascolto sentito e corporeo per lasciare emergere e osservare quello che succede. Ci si focalizza su una sensazione che abbia attinenza con la nostra domanda iniziale, una realtà sentita, in modo da avere una percezione indefinita del nostro stato. Dalla sensazione vaga si inizia a simbolizzare con parole quello che si prova fino a che non si trova la risposta più adatta alla sensazione. Si controlla se la sensazione, la parola o l’immagine, risuonano tra loro e si va in profondità per comprendere cosa rende il problema così rilevante. In pratica si cerca di riconoscere nella realtà sensibile del corpo, questo profondo centro di risonanza interiore, una risposta generativa e creativa, fatta di intuizione, sollievo, rilassamento.
A volte le risposte non ci piacciono, ma quello che ci serve è sentir sorgere dall’interno un’esperienza vitale che trasformi il sentire corporeo in percezione creativa della realtà.