
Sembra una battuta, ma si può perdere con piacere da chiunque. Giocando a tennis, in una conversazione, nella conquista di un risultato prestigioso, nella relazione con un partner. E come si fa?
Bisogna confondersi e intestardirsi. Basta pensare di vincere, di farcela. Basta instaurare con la propria mente un dialogo kafkhiano dove ci si immerge così bene da perdere il senso della realtà. Si dialoga con i sentimenti, ci si dice di prendersela comoda, di godersela. Di pensare ad un passo alla volta. Che questa volta sarà diverso. La partita la giocheremo in modo diverso.
Poi ci si confonde pensando di avere più strumenti, più fisico e più testa dell’altro, di chiunque altro. E forse anche più tempo a disposizione.
Per lunghi periodi si tiene accesa la speranza, anche a dispetto delle pieghe negative che le circostanze prendono. Ci raccontiamo che ce la possiamo fare e possiamo darci regole nuove. Giochiamo a scacchi con la nostra mente ribaltata, correndo di più e pensando di essere di più del nostro interlocutore o avversario. In poche parole ce la raccontiamo seguendo il dialogo del ricercatore psicologico. Grandi proclami, grandi idee, pochi risultati.
E quando si sbaglia, quando non si legge bene la situazione, o la si legge tardi, inizia il tracollo. Il tempo passa e ci si scoraggia. Si instaura il dialogo del perdente e del rimuginatore.
Si esce annichili dall’esperienza, dalla non accettazione, dalla perdita. Anzi, ci si nutre della perdita e diventa un gioco al massacro. Si alimenta la speranza, ma si perde di vista il nocciolo.
Si perde di vista l’istinto del predatore e del risultato.
Si perde di vista l’essenziale che è istinto e ragione di chi sa bere da un bicchiere, ma sa anche stringerlo fino a frantumarlo.
Bisogna confondersi e intestardirsi. Basta pensare di vincere, di farcela. Basta instaurare con la propria mente un dialogo kafkhiano dove ci si immerge così bene da perdere il senso della realtà. Si dialoga con i sentimenti, ci si dice di prendersela comoda, di godersela. Di pensare ad un passo alla volta. Che questa volta sarà diverso. La partita la giocheremo in modo diverso.
Poi ci si confonde pensando di avere più strumenti, più fisico e più testa dell’altro, di chiunque altro. E forse anche più tempo a disposizione.
Per lunghi periodi si tiene accesa la speranza, anche a dispetto delle pieghe negative che le circostanze prendono. Ci raccontiamo che ce la possiamo fare e possiamo darci regole nuove. Giochiamo a scacchi con la nostra mente ribaltata, correndo di più e pensando di essere di più del nostro interlocutore o avversario. In poche parole ce la raccontiamo seguendo il dialogo del ricercatore psicologico. Grandi proclami, grandi idee, pochi risultati.
E quando si sbaglia, quando non si legge bene la situazione, o la si legge tardi, inizia il tracollo. Il tempo passa e ci si scoraggia. Si instaura il dialogo del perdente e del rimuginatore.
Si esce annichili dall’esperienza, dalla non accettazione, dalla perdita. Anzi, ci si nutre della perdita e diventa un gioco al massacro. Si alimenta la speranza, ma si perde di vista il nocciolo.
Si perde di vista l’istinto del predatore e del risultato.
Si perde di vista l’essenziale che è istinto e ragione di chi sa bere da un bicchiere, ma sa anche stringerlo fino a frantumarlo.