
E’ sufficiente una anestesia parziale, una operazione che dura due ore, dove non si sentono bacino e gambe, un’ora di ripresa graduale del corpo, dove si avvertono le tipiche sensazioni di immobilità e di impotenza, per contattare un disagio profondo che arriva da lontano e che si chiama ’non riesco a chiedere aiuto’.
Chi esce da una anestesia parziale si trova nella spiacevole situazione di interpretare la ripresa come ‘lenta’, troppo lenta, quasi paradossale: dall’assenza di sensazioni e dallo stato di non controllo, emerge la necessità di trovare una condizione psicofisica che unifichi sensazioni corporee destabilizzanti, attraverso un lasciarsi andare, fiduciosi, al torpore. Cioè consegnando ai normali processi fisiologici la ripresa della piena coscienza corporea.
Se questo non avviene nei tempi rapidi di un desiderio atteso, la persona può riconoscere, nella mancanza del controllo corporeo, sensazioni di impotenza antica: può contattare, attraverso le memorie passate, la dipendenza dal bisogno di contare su qualcuno e può avvertire la sgradevole sensazione psicologica di essere solo nell’universo.
La novità e lo scombussolamento che porta l’anestesia, la percezione del corpo così estranea, la mancanza di controllo motorio, può attivare, allo stesso tempo, importanti riflessioni psicologiche e reazioni positive come la ‘resilienza’. La persona può avvertire la necessità di ripartire da uno stato di malessere su cui innestare il rilassamento, la visualizzazione, il respiro e il riposo; può affrontare con rinnovata motivazione la richiesta di aiuto alle persone più care, non solo fisico, perché ovviamente più facile, ma psicologico come richiesta esplicita di una presenza emotiva; può giocare, con l’attivazione della propria presenza, le relazioni vecchie e nuove; può, in definitiva, esprimere con gli altri una leggerezza corporea che solo l’anestesia delle proprie nevrosi può regalare.
Chi esce da una anestesia parziale si trova nella spiacevole situazione di interpretare la ripresa come ‘lenta’, troppo lenta, quasi paradossale: dall’assenza di sensazioni e dallo stato di non controllo, emerge la necessità di trovare una condizione psicofisica che unifichi sensazioni corporee destabilizzanti, attraverso un lasciarsi andare, fiduciosi, al torpore. Cioè consegnando ai normali processi fisiologici la ripresa della piena coscienza corporea.
Se questo non avviene nei tempi rapidi di un desiderio atteso, la persona può riconoscere, nella mancanza del controllo corporeo, sensazioni di impotenza antica: può contattare, attraverso le memorie passate, la dipendenza dal bisogno di contare su qualcuno e può avvertire la sgradevole sensazione psicologica di essere solo nell’universo.
La novità e lo scombussolamento che porta l’anestesia, la percezione del corpo così estranea, la mancanza di controllo motorio, può attivare, allo stesso tempo, importanti riflessioni psicologiche e reazioni positive come la ‘resilienza’. La persona può avvertire la necessità di ripartire da uno stato di malessere su cui innestare il rilassamento, la visualizzazione, il respiro e il riposo; può affrontare con rinnovata motivazione la richiesta di aiuto alle persone più care, non solo fisico, perché ovviamente più facile, ma psicologico come richiesta esplicita di una presenza emotiva; può giocare, con l’attivazione della propria presenza, le relazioni vecchie e nuove; può, in definitiva, esprimere con gli altri una leggerezza corporea che solo l’anestesia delle proprie nevrosi può regalare.