
Da adulti, l’amore può essere percepito come un sogno senza tempo e senza età. Nei momenti di crisi, ci si sente come dei ragazzini alla ricerca di conferme da ‘ritorno al futuro’ attraverso la riesumazione retrograda di Frankenstein padre.
Quello che si avverte prepotentemente è il bisogno di uno specchio d’amore. E allora ci si specchia in ogni dove. In cosa fa o non fa l’amato, in cosa dice o pensa. E ogni nostro atto è misura o conferma della nostra ambizione d’amore. Una frustrazione infernale.
Ma può funzionare un rapporto quando la ricerca di conferme, attraverso il controllo, sfiorisce ogni tentativo di lenimento e quiete?
E’ possibile, mi chiedo, ogni giorno avvicinarsi ad una gabbia di leoni e stimolare con un bastone la reazione dei felini per verificare se nel frattempo si sono addomesticati? Non credo che usare la ‘frusta’ con leoni adulti sia molto efficace. Non è meglio utilizzare forme di avvicinamento più consone? Credo che stuzzicare l’istinto di protezione dell’altro serva solo ad alzare muri e creare distanze. Cioè niente di buono.
Quando si cerca se stessi nel movimento e nelle conferme dell’altro, prima con i genitori, poi con i figli, poi con il mondo, ma sempre fuori di sé, è normale sentirsi confusi, intuitivi, empatici, ma soprattutto agitati e controllanti.
E’ normale che l’altro parli e non ci veda. E’ normale sentirsi come una mela sciupata, presa dal cestino senza additivi. E’ normale indagare e sviscerare la ‘verità’ fino all’esaurimento. Ma è utile? Porta a qualche tipo di sollievo? Riesce a rianimare quel fragile motto d’amore che si è scoperto per se stessi?
Da lì bisogna partire. Da se stessi. Dai propri movimenti. Dal controllo dei propri pensieri frenetici e dalla pacificazione con i propri sentimenti.
Stare o non stare con l’altro, non è il problema. Il problema è stare bene con se stessi, nella gestione e superamento delle proprie inquietudini interiori.
Quello che si avverte prepotentemente è il bisogno di uno specchio d’amore. E allora ci si specchia in ogni dove. In cosa fa o non fa l’amato, in cosa dice o pensa. E ogni nostro atto è misura o conferma della nostra ambizione d’amore. Una frustrazione infernale.
Ma può funzionare un rapporto quando la ricerca di conferme, attraverso il controllo, sfiorisce ogni tentativo di lenimento e quiete?
E’ possibile, mi chiedo, ogni giorno avvicinarsi ad una gabbia di leoni e stimolare con un bastone la reazione dei felini per verificare se nel frattempo si sono addomesticati? Non credo che usare la ‘frusta’ con leoni adulti sia molto efficace. Non è meglio utilizzare forme di avvicinamento più consone? Credo che stuzzicare l’istinto di protezione dell’altro serva solo ad alzare muri e creare distanze. Cioè niente di buono.
Quando si cerca se stessi nel movimento e nelle conferme dell’altro, prima con i genitori, poi con i figli, poi con il mondo, ma sempre fuori di sé, è normale sentirsi confusi, intuitivi, empatici, ma soprattutto agitati e controllanti.
E’ normale che l’altro parli e non ci veda. E’ normale sentirsi come una mela sciupata, presa dal cestino senza additivi. E’ normale indagare e sviscerare la ‘verità’ fino all’esaurimento. Ma è utile? Porta a qualche tipo di sollievo? Riesce a rianimare quel fragile motto d’amore che si è scoperto per se stessi?
Da lì bisogna partire. Da se stessi. Dai propri movimenti. Dal controllo dei propri pensieri frenetici e dalla pacificazione con i propri sentimenti.
Stare o non stare con l’altro, non è il problema. Il problema è stare bene con se stessi, nella gestione e superamento delle proprie inquietudini interiori.