Psicologia e Sport
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La psicologia dello sport è nata per rispondere alle domande di conoscenza dei processi psicologici che guidano la prestazione motoria, di apprendimento e di incremento delle prestazioni, di influenzamento delle percezioni psicologiche e dei risultati di atleti e gruppi. Ma la domanda più intrigante e' stata: ‘concretamente, come si fa a fare di più e meglio?’
La sfida innovativa di questa branca della psicologia è stata quella di avere cercato di rispondere alle domande poste dal mondo sportivo in modo pragmatico e multidisciplinare. Ha, infatti, stimolato gli atleti a formulare i propri bisogni con domande appropriate, li ha aiutati a chiarire meglio i propri scopi e ha potuto intervenire con strategie multiple, aumentando la flessibilità dei comportamenti. La sfida dell’atleta e delle squadre, invece, è stata quella di avere un approccio psicologico alla propria esperienza per riconoscere e percepire i numerosi fattori che influenzano la propria disciplina. Non solo quindi allenamento tecnico, ma allenamento all’attenzione, all’osservazione, alla preparazione mentale, alla motivazione, alla gestione dello stress.
Da questa prospettiva praticare uno sport (l’apnea sportiva ne è un esempio) diventa allora una grande opportunità di crescita dove il motto è: ‘ascoltare, osservare, imparare, mettere in pratica e se non funziona provare qualcosa di diverso per crescere, come atleta e come persona’.
La psicologia dello sport è nata per rispondere alle domande di conoscenza dei processi psicologici che guidano la prestazione motoria, di apprendimento e di incremento delle prestazioni, di influenzamento delle percezioni psicologiche e dei risultati di atleti e gruppi. Ma la domanda più intrigante e' stata: ‘concretamente, come si fa a fare di più e meglio?’
La sfida innovativa di questa branca della psicologia è stata quella di avere cercato di rispondere alle domande poste dal mondo sportivo in modo pragmatico e multidisciplinare. Ha, infatti, stimolato gli atleti a formulare i propri bisogni con domande appropriate, li ha aiutati a chiarire meglio i propri scopi e ha potuto intervenire con strategie multiple, aumentando la flessibilità dei comportamenti. La sfida dell’atleta e delle squadre, invece, è stata quella di avere un approccio psicologico alla propria esperienza per riconoscere e percepire i numerosi fattori che influenzano la propria disciplina. Non solo quindi allenamento tecnico, ma allenamento all’attenzione, all’osservazione, alla preparazione mentale, alla motivazione, alla gestione dello stress.
Da questa prospettiva praticare uno sport (l’apnea sportiva ne è un esempio) diventa allora una grande opportunità di crescita dove il motto è: ‘ascoltare, osservare, imparare, mettere in pratica e se non funziona provare qualcosa di diverso per crescere, come atleta e come persona’.
Panoramica di un intervento
Normalmente uno sportivo chiede l’intervento di uno psicologo per riconoscere alcune qualità personali, acquisire capacità e strategie per una migliore gestione dei propri stati interni, sviluppare un più rilevante controllo su emozioni e comportamenti.
Ma la questione è complessa e da affrontare a più livelli.
La prima questione di rilievo riguarda la percezione dell’ambiente e cioè del contesto in cui l’atleta opera, dove diverse componenti convergono per creare i presupposti e le condizioni migliori per dare ‘terreno’ al proprio lavoro. E’ su questa base esterna, oggettiva, che gli allenamenti, l’addestramento, le azioni personali, in definitiva i comportamenti, diventano automatismi consapevolmente inconsci che operano per il risultato auspicato.
E fin qui l’atleta è semplicemente una macchina efficiente.
Il passaggio alla parte soggettiva, e cioè alla dimensione psicologica delle capacità, strategie e risorse dell’atleta, diventa cruciale quando, il suo sapere e saper fare, diventano capacità di tollerare realtà sportive frustranti e complesse.
L’attività psicologica che ne deriva, si articola ulteriormente nella percezione del sé, dei ruoli e delle maschere che a vario titolo rispondono ai bisogni della migliore pratica.
Ma un passaggio successivo, ancora più importante e determinante, riguarda il cono di osservazione, potremmo dire la filosofia dell’atleta, che riesamina i paradigmi, le credenze, le motivazioni, gli scopi, quelli sì, che lo condizionano non solo per il raggiungimento di risultati ma per la sua stessa vita.
Ma la questione è complessa e da affrontare a più livelli.
La prima questione di rilievo riguarda la percezione dell’ambiente e cioè del contesto in cui l’atleta opera, dove diverse componenti convergono per creare i presupposti e le condizioni migliori per dare ‘terreno’ al proprio lavoro. E’ su questa base esterna, oggettiva, che gli allenamenti, l’addestramento, le azioni personali, in definitiva i comportamenti, diventano automatismi consapevolmente inconsci che operano per il risultato auspicato.
E fin qui l’atleta è semplicemente una macchina efficiente.
Il passaggio alla parte soggettiva, e cioè alla dimensione psicologica delle capacità, strategie e risorse dell’atleta, diventa cruciale quando, il suo sapere e saper fare, diventano capacità di tollerare realtà sportive frustranti e complesse.
L’attività psicologica che ne deriva, si articola ulteriormente nella percezione del sé, dei ruoli e delle maschere che a vario titolo rispondono ai bisogni della migliore pratica.
Ma un passaggio successivo, ancora più importante e determinante, riguarda il cono di osservazione, potremmo dire la filosofia dell’atleta, che riesamina i paradigmi, le credenze, le motivazioni, gli scopi, quelli sì, che lo condizionano non solo per il raggiungimento di risultati ma per la sua stessa vita.
Gestire gli stati interiori
Gli stati interiori possono talvolta costituire una fonte di energia che aiuta l’atleta a raggiungere i suoi obiettivi anche a fronte di difficoltà "ambientali"; altre volte ostacolano la sua attività in modo insensato, sottraendogli risorse preziose.
Nell’allenare il corpo e la mente, studiando e sviluppando nuove competenze e conoscenze, l’atleta apprezza, quando ha la possibilità di allenarsi a gestire i propri stati emozionali, a comprendere i propri meccanismi automatici, a sapersi rilassare quando occorre, a conoscere - per modificarlo se gli interessa farlo - il modello di percezione e reazione che tende ad agire e a riproporre nei suoi automatismi.
Saper gestire gli stati interni significa imparare a capire quanto l’attenzione è tendenzialmente orientata all'esterno, fuori da sé, e quanto all'interno; imparare a sentire gli effetti fisiologici che scatenano in lui le esperienze con le quali viene a contatto. Significa imparare a ristrutturare le esperienze difficili e a prevenirne di nuove maturando una chiara comprensione di quelle che sono le proprie risorse interne, comprese quelle finora inutilizzate.
L’ipotesi di fondo è che non esistano stati interni buoni o cattivi, ma stati interni che in alcuni momenti rendono agevole il rapporto con se stessi, con la propria disciplina e con gli altri, e in altri lo disturbano. Per questo occorre allargare il proprio bagaglio di conoscenze e tecniche per intergare un nuovo modo di comunicare intimo, dialettico, strategico.
Nell’allenare il corpo e la mente, studiando e sviluppando nuove competenze e conoscenze, l’atleta apprezza, quando ha la possibilità di allenarsi a gestire i propri stati emozionali, a comprendere i propri meccanismi automatici, a sapersi rilassare quando occorre, a conoscere - per modificarlo se gli interessa farlo - il modello di percezione e reazione che tende ad agire e a riproporre nei suoi automatismi.
Saper gestire gli stati interni significa imparare a capire quanto l’attenzione è tendenzialmente orientata all'esterno, fuori da sé, e quanto all'interno; imparare a sentire gli effetti fisiologici che scatenano in lui le esperienze con le quali viene a contatto. Significa imparare a ristrutturare le esperienze difficili e a prevenirne di nuove maturando una chiara comprensione di quelle che sono le proprie risorse interne, comprese quelle finora inutilizzate.
L’ipotesi di fondo è che non esistano stati interni buoni o cattivi, ma stati interni che in alcuni momenti rendono agevole il rapporto con se stessi, con la propria disciplina e con gli altri, e in altri lo disturbano. Per questo occorre allargare il proprio bagaglio di conoscenze e tecniche per intergare un nuovo modo di comunicare intimo, dialettico, strategico.