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  Dott.Lorenzo Manfredini
Psicologia e Psicoterapia

'L'amore che sfinisce' di Lorenzo Manfredini

11/2/2018

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Il nostro credo dimostra chi siamo, ma quando crediamo troppo a lungo alle bugie che ci raccontiamo o che ci vengono rivelate, la verità non ci libera. Anzi, ci confonde. Ci fa a pezzi.

A volte ci raccontiamo l’amore con la qualità di una passione ‘disturbata’ e tocchiamo sia le vette della salvezza che della rovina.

Accade quando amiamo in modo drogato, quando la smania d’attaccamento rischia di uccidere ogni germoglio di amorevolezza con la paura, la sfida, la sfiducia, il controllo.

Non lo facciamo apposta, le emozioni rapiscono. E impediscono la lucidità: ‘non me lo merito, non valgo, non riuscirò a soddisfarlo, non mi vuole bene’.

Quando finiamo un rapporto che non ci completa, ne siamo contenti. Diciamo che su una scala dieci l’altro era appena sufficiente, sei. Abbiamo fatto bene a lasciarlo. Ma ricominciando ogni volta daccapo, la nostra attesa è di partire da lì, dal sei, per andare su, al dieci.

Razionalmente, sappiamo che ogni rapporto parte da zero, forse da due, ma con la speranza che sia almeno sette. E allora sotto con il controllo, con la paura, con l’ansia.

E quando ci chiediamo ‘perché lo facciamo?’ Perché mi comporto in un modo che neanche a me piace?

La risposta non è male: ‘voglio salvare l’amore, voglio salvarmi la vita, voglio salvare il mio IO’. Peccato che, per salvare l’amore, si bonifichi tutta la vallata, comprese le piante e i fiori.

Chi prende il telefono e comincia a richiedere al compagno il conto di ogni frase e ogni comportamento, pensa che la potatura degli interessi dell’altro, dei suoi amici, della sua famiglia, della sua libertà, siano nemici del vero amore della coppia e del vuoto che si percepisce. Anche se pensa: ‘sì, perché tu ed io siamo l’amore, noi siamo una famiglia, tutto il resto non conta. Le nostre vite sono e saranno migliori’, si sbaglia.

Ma come è possibile vivere un amore, perdendo tutti gli interessi o le persone che si amano?

Sappiamo tutti quello che si prova e come ci si sente, e come si cambia, quando qualcuno si impegna, tramite le sue ‘fragilità’, a rinchiudere l’amore in luoghi inaccessibili.

Chi ama, fa di tutto per l’altro, ma l’altro non è solo una custodia di cui prendersi cura. L’altro è la parte più importante di noi, quella a cui torniamo sempre, qualsiasi cosa accada. Ed è lì che dobbiamo farci qualcosa. Ad esempio, dicendoci ... sul serio: ‘ehi tu … basta, non si fa così, smettila!’
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'Il bello deve venire' di Lorenzo Manfredini

10/2/2018

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Negli amori contrastati, quelli che vanno e vengono, quelli che ti prendono perché non hai scelta, che si vivono una sera per volta e che dove vai non importa, rischiano il sequestro del cervello.

Finché funzionano, si cammina insieme, si fanno promesse, non si chiede nulla. L’energia scorre in alto e sembra portare alle soglie della luna: a progetti, a richieste, a definizioni.

Mano nella mano si cresce e si ha voglia di dire sì all’amore in modo chiaro e terreno: con progetti, regole e impegni.

Quando l’energia si trasforma e chiede il conto, diventa vita dura: vita quotidiana, dissequestri emozionali dalla famiglia di origine, dalle proprie esperienze infantili, dalle convinzioni limitanti, dalle dipendenze di un mondo magico che si sbriciola. Tutto diventa opportunità, crescita, evoluzione.

Ma quando, appunto, c’è un passaggio evolutivo, la coppia, che non ha più lo sguardo alto, un pò balla e un pò salta. Non smette di credere nella dolcezza, nei buoni propositi, nelle porte aperte, scopre però di non sapere dove andare quando si ritrova nella confusione dell’altro.

C’è qualcosa fra se stessi, l’altro e la vita che ancora non si conosce e che non fa ridere. Anzi!

E allora ‘il bello deve ancora venire’ perché proprio quelle situazioni chiedono un’evoluzione: di vivere le emozioni e di contenerle, di essere vicini e nello stesso tempo felicemente autonomi e pronti a relativizzare le fatiche quotidiane. Di rendere leggero, in definitiva, un mondo che non si sa dove va a finire. E che è bene non finisca dove solo noi abbiamo pensato.

La capacità di gestire una relazione contrastata, non sta quindi nel guidarla verso uno stagno di incertezze, ma nel lasciarla evolvere nell’ascolto di ciò che emerge e nelle domande che cercano il bene e la qualità del vivere.
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E quando lo stagno non riflette più la luna, diventa necessario lasciarlo con serenità aliena.
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'Quattro passi nel dolore' di Lorenzo Manfredini

8/2/2018

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Questo post è rivolto a coloro che vivono o hanno vissuto traumi fisici, emotivi o psicologici, e cercano un messaggio di speranza.

Camminiamo nella vita fiduciosi, finché non incontriamo eventi o problemi che sequestrano la nostra forza e inibiscono la nostra reattività. Sono i traumi.

Vogliamo uscirne, vogliamo risponderne, ma la fragilità talvolta arriva fino alle ossa.

Quando cerchiamo qualcosa di buono dentro di noi, che sappia reagire alle avversità, sappiamo che c’è, ma quando non troviamo nulla o quel poco che troviamo non basta, sperimentiamo la raffinata tortura dell’essere soli, con pochi intervalli di lucida visione.

Oggi parleremo del dolore e dei traumi come di una realtà che va gestita con la mente e la consapevolezza.

In primis, c’è da capire con cosa abbiamo a che fare, perchè non c’è nessun addestramento specifico che ci aiuti ad affrontare un trauma, un dolore, un abbandono … una sigaretta spenta in un braccio.

Ogni persona che viva un trauma viene condotta in una realtà drammatica dove una ‘tortura’ va avanti sino alla fine per ricominciare ogni volta daccapo.

Per la mente il dolore è sofferenza e tormento. Travolge il nostro autocontrollo, ricomincia e alla fine cadiamo: diventiamo imprevedibili e folli. Perdiamo l’autocontrollo.

Cosa si può fare? La mente sotto stress è prodigiosa. Manifesta allucinazioni, rimozione, isolamento, batte in ritirata.

Si deve imparare a sfruttare queste cose. Non vanno vissute come cieche reazioni alle avversità, ma come mosse di un gioco.

E arriva il momento in cui si accede a una forza supplementare, che può essere la consapevolezza, ma anche la rabbia, che fa esplodere quella realtà di dolore, e la riduce in cenere.

E’ quella parte di noi che dice ‘ne ho abbastanza’.

Durante la fase del dolore, quel costrutto che ci sta annichilendo, in particolare il suo significato, dobbiamo imparare a trattarlo in un modo speciale.

E come accade tutto ciò? Facendo, entrando volontariamente nella dimensione del dolore, estrapolando i ricordi del trauma, insieme alla sensazione di sentirsi in trappola.

Prima fase
Nella prima fase, il dolore accende, come le luci di Natale, il significato di ciò che viviamo come un luogo pieno di insidie, di cui ne affrontiamo alcune, fino a che non si affronta l’impotenza.

Per uscirne, bisogna battere il giocatore, e cioè l’identificazione con l’impotenza, non il gioco. Dentro il nostro dolore non possiamo buttare il napalm e uccidere tutto e tutti, compresi i ricordi. Dobbiamo resistere e passare a una seconda fase.

Seconda fase
Il dolore non ha limiti e la parte di noi che si interroga sugli accadimenti, l’inquisitore, non ha pietà. E’ un universo di sofferenza che all’inizio sembra senza fine.

Va accettato il fatto che non finirà mai. Ci si può lamentare, gridare e piangere. Lasciamo credere a noi stessi che stiamo per cedere. Ricordiamoci però che non siamo animali in trappola, noi siamo noi, noi stiamo aspettando il momento giusto, perchè  il nostro nemico non è l’esperienza, non è l’inquisitore, il nostro nemico è la disperazione. L’impotenza.

Terza fase
Impariamo ad aspettare, scoviamo il punto debole del nemico interiore e passiamo alla fase successiva: chiudere il buco nero della debolezza. Riprendiamo il controllo, il controllo del costrutto e cancelliamo le catene con i suoi vincoli. E anche se non è così semplice, cancelliamo i pensieri, cancelliamo i ricordi spiacevoli.

Ricordiamoci che il dolore non tiene veramente a noi.

Quarta fase
Il passo successivo sarà uscire dal nucleo di dolore.
Concentriamoci su ciò a cui teniamo di più con ogni atomo della nostra esistenza, manteniamo noi stessi aperti alla schiusa di un varco nel mondo virtuale delle possibilità.

E’ in questo modo che si torna al mondo reale.

Uscire dal dolore però non basta da solo. Infatti occorre tornare al mondo reale ed essere pronti.

Quinta fase
E si arriverà alla fase seguente: ‘amare se stessi e la propria vita’.

Non dobbiamo temere di mostrare la nostra debolezza, almeno fino al momento in cui scopriamo di non esserlo più: lasciamo il dolore e la sofferenza, il cuore e la debolezza, all’attenzione del nostro aguzzino interiore.
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Così facendo, saremo i creatori di una fessura nel significato che diamo alla nostra sofferenza … e saremo pronti a guardare le cose in modo diverso e realizzare una nuova immagine di noi. 
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'Alter ego: un compagno scomodo' di Lorenzo Manfredini

7/2/2018

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Quando si percepisce, da una lato, l’impotenza nell’affrontare la vita, il proprio essere madre e padre, compagno e, dall’altro, l’onnipotenza che contraddistingue chi ha tutte le risposte in tasca, bisogna uscire fuori dagli schemi normali e avere voglia di ascoltare e fare cose diverse.

Ascoltare chi e fare cosa, dunque?

Il motto sarebbe che chi ha un orecchio solo, non è rovinato se sarà ‘il miglior uditore del mondo’. Personaggi come Bebe Vio o Alex Zanardi, nelle loro fatalità, ne sono un magnifico esempio: giganteggiano nella malasorte.

Ma veniamo a noi normali. Se si prova ansia per qualsiasi cosa succeda, si potrà avere l’accortezza di utilizzare le proprie risorse personali, spesso nascoste, per convertire le forze in opportunità di crescita psicologica e spirituale.

L’importante è scoprire e recuperare la propria identità integra e sana, indipendente dallo stato di disagio che si percepisce.

E come si fa se il nostro IO dice ‘di fronte alle avversità, sorridi’ e il nostro alter ego invece dice ‘combatti, opponiti, minaccia, colpisci’? Come fare quando l’umore è soverchiante, i problemi esterni assillanti e la voglia di cercare soluzioni immediate risolve solo in parte il nostro bisogno di trovare un equilibrio?

Occorre chiedersi ‘qual è la convinzione che abbiamo mentre siamo al confine della foresta’.

Possiamo sentirci impotenti, incapaci, inutili e non piace a nessuno. Possiamo anche cercare soluzioni palliative per giustificare le nostre avversità. Ma è da li che si può partire, dal recupero del nostro io che dice ’si, sono impotente, ma non posso proprio farci niente? O posso, invece, respirare, pensare diversamente, guardare meglio, accettare quello che viene?’

E non possiamo ulteriormente chiederci, assimilando la buona medicina del dialogo con se stessi, ‘nonostante tutto ciò che mi accade, come mi piacerebbe sentirmi, invece?’

Quando ci troviamo nella scomoda posizione di combattere con i nostri demoni, dobbiamo ascoltare noi stessi, recepirne le istanze e vedere con gli occhi della mente con quale parte di noi comunicare. Alla fine, ego (Io) e alter ego (non io, altro da me ), siamo sempre ‘noi’ ed è attraverso il loro dialogo che troviamo le risposte.

E anche se non le troviamo subito, 'non dobbiamo arrenderci’! 

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'Le suggestioni altrui' di Lorenzo Manfredini

6/2/2018

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Noi siamo immersi in un mare di suggestioni, a volte positive e stimolanti, talaltra negative e inopportune, e provengono da ogni dove. Da parenti, amici, colleghi, conoscenti, ‘amici’ scoperti da poco, etc.

Tutti, in un modo o nell’altro, dicono qualcosa a noi e di noi, e influenzano la nostra vita. Se ci va bene traiamo consigli da mettere in pratica. Se ci va male veniamo inondati da convinzioni esterne che sbiadiscono la fiducia in noi stessi.

Quando diventiamo ipersensibili alle emozioni altrui, ai consigli non richiesti, alle critiche e osservazioni offensive sul nostro aspetto, al giudizio o alle illusioni fuorvianti, alla svalutazione delle nostre reali capacità, all’impressionabilità falsa e ipocrita, all’aggressione dei punti deboli e vulnerabili, sia fisici che mentali, fino alla manipolazione del nostro comportamento, sentiamo diminuire, come nelle navicelle spaziali di Star Trek, la forza dei nostri scudi.

Non riusciamo a proteggerci dalle critiche fatte in buona fede, dalle provocazioni verbali, dalle maldicenze, dal pettegolezzo o dal disfattismo. Tutto questo arriva  dritto in casa nostra a far bollire le viscere e a far frullare i pensieri.

Ma se tutto questo nasce nella mente di altre persone, perché dobbiamo permettere alla nostra mente di esserne influenzata?

In fondo se stiamo guardando un programma che non ci piace, spegniamo la TV o cambiamo canale.

Perché non dovremmo riuscire a frequentare interlocutori più socievoli e stimolanti?

Nessuno dovrebbe permettere che la mente di un’altra persona influenzi in modo negativo i pensieri e l’opinione che abbiamo di noi. In alternativa, possiamo interrompere la comunicazione e sintonizzarci su una frequenza diversa, più positiva.

Ricordiamoci che se qualcuno entra in casa nostra senza permesso, viola la nostra privacy. E se qualcuno ‘entra’ nella mente senza permesso, invade la nostra intimità mentale ed emotiva.

Rifiutiamo, pertanto, le suggestioni negative e aggiungiamo: ‘mi sento bene, mi voglio bene, mi apprezzo e ho tutti i requisiti per vivere una vita ricca e soddisfacente, la mia!’ 
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'Zanzarificio' di Lorenzo Manfredini

31/1/2018

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Se qualcuno dovesse dire che a Ferrara ci sono tante zanzare non credetegli. In verità Ferrara è solo un noto zanzarificio nazionale. Più precisamente, le zanzare di cui vi voglio parlare sono quelle generate nelle praterie dei nostri cervelli quando i pensieri si esibiscono alla massima potenza e cucinano timori senza sosta.

E’ noto che quando una persona vive stati di ansia o ossessivi, o addirittura immaginazioni più o meno sane, o decisioni senza respiro, la sua attività mentale è in loop negli angoli più riposti del suo cervello. In pratica non c’è il respiro di più voci, più collegamenti, più punti di vista che consentano di ridurre fissazioni, tormenti e manie.

In pratica il cervello non chiacchiera con ariosità creativa e chi è tormentato da decisioni amorose è in scacco. Matto!

Avete presente il triangolo di Penrose, quello artificioso come nel disegno sopra? Razionale e irrazionale a un tempo. La pallina scende per un lato (razionale), prosegue nell’altro, sovvertendo la logica dei piani (irrazionale), prosegue in un lato non visto (costruito con l’immaginazione) e via di seguito a ripetizione.

Declinandolo nella vita di un amore tormentato, risulta più o meno così:
‘Ti amo e mi sembra naturale apprezzare le cose belle che provo nei tuoi confronti’ (razionale).

‘Continuo ad amarti mentre sfuggi, non parli e ti comporti in un modo che non capisco’ (irrazionale).

‘Mentre penso a te, mi aspetto di provare emozioni intense e una libertà sconfinata (costruito con l’immaginazione).

Che dire?

‘Amo la tua libertà, ma mi chiedo: ci sei o non ci sei?’

E a me stesso dico: ‘Meno male che ogni tanto mi penso da fuori!’. 

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'Casa dolce casa' di Lorenzo Manfredini

9/12/2017

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Il punto di vista maschile sull’essere disordinati in casa ha moltissime gradazioni.

Esagerando, dico che il disordine è creativo, tocca lo spirito di avventura e d’immaginazione, è simpatico ed è espressione di individualità. Riflette la spontaneità dello scompiglio naturale. Del caos primordiale e dell’allegra anarchia.

Il disordine è una sfida all’immaginazione, alla memoria, all’investigazione. Fa compagnia e sorprende, soprattutto quando si ritrovano le cose.

L’ordine, di concerto, è pratico e utile e ogni cosa ha un suo posto. Da questo punto di vista, l’ordine è gerarchico e senza fantasia. E quando è eccessivo diventa lamento, colpa, vergogna, litigio.

Insomma, niente di buono per la coppia.

Tutti, prima o poi, abbiamo litigato con il disordine e lo sporco. Il problema è che l’ordine e il disordine dipendono dalle abitudini quotidiane, e queste sono difficili da cambiare. Non è una questione di amare l’altro se si è ordinati o meno, è una questione di routine e di atteggiamento. Si arriva a prendersi cura di se stessi, delle cose e delle persone con cui si vive come una conquista progressiva di benessere personale e di crescenti responsabilità.

E’ ovvio che in un ambiente accogliente, dopo una giornata di lavoro, ci si voglia rilassare e sentire a proprio agio, ma non si può essere perfetti. Il perfezionismo fa male se i modelli interiorizzati sono quelli ideali e gli altri, di casa, si ribellano. E poi è una questione di abitudini, di energie a disposizione, di ripartizione di compiti, di partecipazione, di tempi.

Il processo educativo di una responsabilità condivisa va formata, non imposta. E’ vero che alla donna sembra di fare spesso la ’mamma’ di un figlio capriccioso e inetto, ma occorre apprezzare i piccoli impegni quotidiani e le differenti abitudini.

Se si è sufficientemente tolleranti, si possono apprezzare i dieci minuti di impegno quotidiano e le routine settimanali che diminuiscono il disordine cronico.

Ma, se non si vuol far diventare la casa una tomba dell’amore, ci sono delle priorità. Occorre procedere a piccoli passi e accettare di immergersi completamente, prima del disordine e delle cose da fare, nelle persone e nei loro progressi. 
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'Figli, fornelli e pulizie' di Lorenzo Manfredini

8/12/2017

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‘Se ci tieni a me dimostralo. A parole sei disponibile, ma poi procrastini e non esegui volentieri i piccoli e importanti lavori domestici. Quando non collabori mi arrabbio e penso che tu non ci tenga a me, alla casa, al nostro rapporto, al nostro futuro.

Ti faccio solo un breve elenco di cosa non funziona e che ricade sulle mie spalle.

Gli abiti li spargi per casa e quando sono fortunata li accumuli vicino alla lavatrice. Per caso, dai per scontato che qualcuno, ‘io’, lavi e stiri?

Le promesse di effettuare i piccoli lavoretti di casa (sistemare la mensola, cambiare la lampadina, sistemare il rubinetto, dare il colore alla parete, etc.) li sposti a dopo, a domani ... e, alla fine, a quando ne hai voglia. Passano giorni, settimane, mesi. Mi esaurisco. Ma ci tieni alla casa?

Sul divano c’è ogni genere di cose ammonticchiate. Possibile che dopo aver visto la televisione, mangiato e dormito, non ti venga in mente di riordinare?

Quando cucini, raramente, possibile che sporchi ovunque e nemmeno apri le finestre?

Quando vedi che in cucina si sono accumulati piatti e stoviglie, come mai non fai gioco di squadra e riordini sistemando la lavastoviglie, pulendo la tavola e mettendo via le buste?

Quando usi il bagno, possibile che mentre usi la doccia bagni dappertutto e che la seggetta, dopo l’uso, sia sempre alzata?

Non parliamo dell’immondizia. Adesso che c'è la raccolta differenziata, mi chiedo come non ti accorga degli odori e non provvedi a smaltirla.

Quando ti togli le scarpe non trovi mai normale riporle e le lasci sotto l’attaccapanni o la sedia. Che figura ci facciamo con gli ospiti?

E il garage? Io non ci entro, è cosa tua, ma è possibile che non si riesca nemmeno a passare? E il giardino? I vetri? I pavimenti? Il mangiare? E i figli?

Probabilmente hai un’altra genetica e pensi che la vita famigliare sia fatta di un cacciatore che procaccia il cibo ma poi riposa meritatamente e di una casalinga che dopo aver lavorato fuori casa quanto te, le altre otto ore le passa, per divertimento, tra figli, fornelli e pulizie.

Dottore, non so più che fare, ha qualche consiglio da darmi? La mia anima è oscurata!’
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'FUMA TE' di Lorenzo Manfredini

7/12/2017

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Si debutta con la ‘marijuana sativa’, si fuma leggeri, senza troppi effetti collaterali, con scopi ricreativi e si apprezzano gli effetti positivi del rilassamento, della leggerezza e dell’allegra compagnia: si libera la mente. Si prosegue con la ‘canapa indiana’ ad alto contenuto di tetraidrocannabinolo (thc) e si tocca con mano l’equilibrio/disequilibrio di emozioni e stati psicologici. Si insiste con le quantità e si entra in un circuito pervasivo di dipendenza, autonegazione, fragilità e, talvolta, ’cambio’ di personalità.

I benefici iniziali e l’uso smodato prendono direzioni che ne rinforzano l’impiego e la dipendenza.

Per cominciare, dipendenza comportamentale. Dal sentirsi furbi e ganzi, si passa a comportamenti organizzati intorno al rifornimento: numeri di telefono di ‘spaccini’, zone battute, amici interessati, rifugi ad hoc, bugie specializzate.

A seguire, dipendenza psicologica relativa a pensieri automatici, fantasie mirate, ansia, attacchi di panico, compulsività, talvolta depressione, disturbo bipolare e deficit di apprendimento, memoria e attenzione.

Successivamente, si procede con la dipendenza fisiologica e gli effetti sul metabolismo e sul bilancio ormonale, sul cervello e sui polmoni.

Quando si chiede come si intende uscire dalla dipendenza, il percorso sembra facile: ‘basta che non veda quegli ‘amici’, che il mio umore sia positivo, che abbia interessi, che sia innamorato, che la famiglia mi sostenga’.

Niente di tutto questo accade all’unisono e anzi, nessuna di queste cose ‘esterne’ sembrano essere leve fondamentali.

Infatti, per smettere di ‘fumare’ occorre rimettere in discussione gli ‘amici’, l’uso del telefono, l’equilibrio sonno veglia, gestire gli automatismi, le emozioni e gli umori altalenanti, chiudere con gli ‘spaccini’. Rimettere in pista scopi di studio e di lavoro. Sudare in palestra. Insomma ritrovare efficienza e decisioni radicali insieme a stabilità mentale ed emotiva.

La dipendenza non è un gioco.

Bob Marley diceva: ‘Perché bere e guidare quando puoi fumare e volare?’ Ebbene, la curiosità ha un prezzo e il prezzo è la propria vita. E per gustare il biglietto della nostra vita non serve fumare erba perché la vera droga siamo noi: il nostro corpo, le nostre emozioni, la nostra mente.
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Pertanto, 'FUMA TE' è la droga più potente di tutte: è fatta di scelte, di creatività e di consapevolezza che si può ‘fumare’ in ogni momento. 
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'Il tempo in scatola' di Lorenzo Manfredini

6/12/2017

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Quando guardiamo la nostra vita attraverso le attività di uno smartphone, di un computer o della TV, dentro le piazze dei social network, in realtà cerchiamo un condensato di riconoscimenti (identificazione, visibilità), motivazioni (like), interessi (nuove idee), soddisfazioni (nuove relazioni, piacere). E’ la dilatazione della celebrità e del nostro esserci: del nostro essere presenti e testimoni di qualcosa di grandioso.

Dentro quelle scatole ben congegnate programmiamo la nostra vita e il nostro tempo. Abbiamo la sensazione, navigando, di far succedere le cose e che le nostre azioni abbiano un senso compiuto. Individuazione, stimoli, ricerca, passione, realizzazione, tutto sembra avere uno scopo.

E potrebbe averlo effettivamente se non fossimo quattro ore al giorno su internet, quattro alla TV e due sui social network. Dieci ore del nostro tempo dentro quelle scatole virtuali ad estendere la nostra esperienza attraverso i tentacoli neurali.

Il cortocircuito avviene quando non apprezziamo più il buio, il silenzio, il raccoglimento, la meditazione, e siamo sopraffatti dai bisogni quotidiani di efficienza, produzione e consumo. Il cortocircuito è ansia, allo stato puro, quando nelle nostre giornate infiliamo troppe cose.

In una giornata ci sono sempre troppe cose da fare, molte delle quali hanno il sapore di un tempo sprecato a spuntare obiettivi da una lista.

Vanno bene le nuove tecnologie, ma dobbiamo riprendere in mano le relazioni (‘con chi o con cosa mi sento connesso? Con chi mi sento coinvolto e presente?’); la cura (‘di chi o che cosa mi prendo cura? Verso chi ho dimostrato interessamento e affetto?’); il contributo (‘chi ho sostenuto? A cosa ho dato il mio apporto?’).

Possiamo fare molto quando ci occupiamo dei rapporti veri e rallentiamo permettendo al pensiero di farsi profondo.

Così, mi capita spesso di ricordare alle persone l’importanza di quello che fanno per i figli, la coppia, la famiglia, la società, il lavoro, per se stessi: una attenzione che sembra scontata e invece è così preziosa per dare significato alla vita attraverso il contatto, la cura e il sostegno. 
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'Promemoria per pazzi e mostri' di Lorenzo Manfredini

5/12/2017

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Quando finisce una storia si rischia di impazzire, di non riconoscersi più e di identificare l’altro come un mostro insensibile e malvagio.

La pazzia inizia con la mancata previsione che certe cose succedono (un amore può finire), che lasciare una ‘casa viva’ è straziante, che vivere altrove è umida sopravvivenza e che le ombre del mondo invadono la propria esperienza.

Andiamo con ordine.

Quando ci innamoriamo investiamo tutto noi stessi in un progetto di vita. Ci adattiamo all’altro e un po’ desideriamo cambiarlo, ma soprattutto ci accomodiamo all’idea che quel progetto di vita sarà per sempre. Col passare degli anni si diventa fiduciosi di un futuro che sembra destinato ancorché desiderato. La sorpresa, lo shock? Che la compagnia non è sicurezza, che negli anni ci si disimpara a vicenda e tutto finisce in malo modo. E’ straziante. E’ pazzia.

Abbandonare una convivenza che è diventata famigliare, cose che sono diventate vive, una casa cui si è dedicato anima e corpo, fa emergere il timbro della disperazione e della fatica di esistere e desiderare. Gli affetti, la casa, le cose diventano un prolungamento di se stessi e ogni gesto, ormai vano, spegne le vene e gela la pelle. E’ paralizzante. E’ pazzia.

Andare a vivere in una casa nuova senz’anima e senza istruzioni, è pura sopravvivenza. E’ una prigione. E’ pazzia.

Incolpare le ombre e se stessi di non avere previsto, non aver sfiorato l’idea che potesse accadere, è come toccare l’inferno e combattere con i mostri. E’ pazzia.

Nulla di tutto ciò può far ritornare a vivere un’anima calpestata. Eppure l’anima è bella e occorre ribaltare il cannocchiale della sofferenza.
La storia, negli ultimi anni, faticava. Gli oggetti (la casa, i beni) non sono animati, ma cose. La vita mostra nuove porte. E le ombre invitano alla consapevolezza.

E’ inutile darsi addosso e incolparsi. L’amore non muore mai di morte naturale. Muore di cecità, di errori e di tradimenti. Piuttosto, è utile prendersi il momento giusto per dire addio, raccogliere le valigie dell’orgoglio e atterrare nella distesa del cambiamento.
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'Confidenze preziose' di Lorenzo Manfredini

3/12/2017

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Ci sono milioni di persone che lottano per la loro sopravvivenza fisica e sono ammirevoli. Con poco accendono la speranza. E ce ne sono altrettante più fortunate che cercano la qualità del loro vivere.

Mi rendo conto che nella stragrande maggioranza dei post che scrivo mi rivolgo a questi ultimi fortunati che cercano i segreti per vivere traguardi sempre più ambiziosi. Raggiunti i quali saranno contenti. Quasi fosse un sogno o una destinazione.

Dieci chili meno, più soldi, più esami, più amore, più sesso, più tempo, più progetti raggiunti i quali, finalmente, ci si potrà rallegrare serenamente.

C’è sempre un ‘dopo’ a tirare le fila di una vita più felice e un ‘quando’ rivolto al futuro dello star bene. C’è una propensione a camminare verso una destinazione migliore, poi, dopo, più avanti, domani.

E adesso invece, c’è qualcosa che funziona, che va bene e che ci piace? Lo possiamo apprezzare?
La corsa ad ostacoli di un futuro migliore si presenta così: ostacoli alti da superare che si conoscono centimetro per centimetro ma che se non si superano come desideriamo, ci rimaniamo veramente male.

Cosa ci manca in tutto questo? Un insieme di capacità che dovrebbero dare al presente e futuro, non cose, ma qualità.

Avere l’occhio per ciò che funziona, resistere di fronte alle avversità, prendere decisioni migliori, provare intenzionalmente sensazioni positive, agire e progredire con decisione e determinazione, sono capacità speciali che fanno la differenza nella qualità della nostra vita.

Ci aiutano a distinguere cosa è superfluo e inevitabile da ciò che può essere migliorato e cambiato. Queste capacità ci aiutano a conoscerci meglio, ad agire in maniera più consapevole e a scegliere con maggiore libertà come vivere.

Smettendo di incolpare qualcuno, avendo una destinazione cui mirare, riconoscendo i punti di forza, avendo obiettivi per cui darci dentro, percependo la nostra ricchezza personale e sentendoci ricchi perché autentici, si hanno a disposizione degli strumenti incomparabili per apprezzare le qualità di una vita che è più mistero che problema.
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'Coppia: un mondo in cui valga la pena vivere' di Lorenzo Manfredini

2/12/2017

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L’amore, per sbocciare, ha bisogno dell’altro, della famiglia, della società. Nella coppia è un generatore di comportamenti che ha bisogno di buoni ingredienti: un progetto, buone storie e una narrazione ricca di esperienze personali, bisogni e aspettative. Ma ha necessità soprattutto di buona comunicazione.

E allora, è utile una psicoterapia di coppia quando la coppia entra nelle acque tempestose dell’incomunicabilità e non riesce più a condividere una compatibilità basata sull’amore, l’affetto, la stima, l’accettazione?

Può una terza persona condividere la realtà di ciascuno e ricucire le traiettorie di mondi che si sono allontanati?

E proprio questo è il punto. Ci sono ancora margini di riassestamento? Ci sono ancora valori, bisogni e aspettative in grado di mobilitare scelte, opportunità e trasformazioni generative?

Il desiderio di provarci direbbe di sì. Ma per farlo ciascuno dovrebbe aprirsi all’opportunità di conoscersi meglio. Di capire, ad esempio, come crea la sua rappresentazione interna della realtà e come la porge (il modo). Di comprendere come elaborare e interpretare le esperienze e le informazioni (i contenuti). Di spiegare le proprie preferenze ed esigenze attraverso i canali che l’altro è in grado di comprendere (i bisogni). Di approvare le diversità del vivere insieme, ciascuno nel proprio mondo (i punti di contatto). E, forse, la più rivoluzionaria, accettare l’altro così com’è adattando la propria mappa mentale invece di volerlo/a cambiare (buona comunicazione).

Quando una coppia arriva a comprendere che i sistemi difensivi dell’evitamento (sto zitta!), del diniego (per me è NO!), del sottrarsi (sono arrabbiata), dello spingere (ti voglio diversa), dello sfuggire (ho paura), etc., sono creati da certi processi mentali, cambiando la struttura dell’esperienza o il processo che li genera, si cambia la modalità di comunicazione e l’esperienza stessa ritrova nuova linfa.

Ebbene si, se si scopre che il modo di comunicare è frutto di modelli mentali poco adatti e si perviene ad un equilibrio tra eccessi di dettaglio ed eccessi di approssimazione, si ritrova quel margine di flessibilità e di adattamento che promette alla coppia di brindare a princìpi più maturi.

La comunicazione è linguaggio e il linguaggio costruisce il mondo della coppia.

Comprendere il ruolo della comunicazione nella costruzione di relazioni efficaci e felici, permette di cambiare il modo di rispondere agli stimoli che si ricevono, anche se non piacciono.

Pertanto, si, la psicoterapia di coppia è un’ottima opportunità per processare i conflitti prodotti da modelli mentali inadatti e rispondere a individui che, nelle difficoltà, si pongono nuove domande e hanno voglia di andare dentro alle risposte.
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'Tra desiderio e delusione' di Lorenzo Manfredini

1/12/2017

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Hai dimenticato le chiavi, la carta è rimasta nella fessura del bancomat, al lavoro niente è andato come volevi. Un mare di piccoli problemi ti deludono, ti rovinano le giornate e non ti permettono di affrontare quello che ti sta a cuore: affrontare una situazione d’amore, accettarne le conseguenze e/o cercare nuove luci.

Certi problemi hanno fatto boom e oggi ti senti disfunzionale, hai un comportamento ossessivo-compulsivo, sei arrabbiato e forse anche un pò borderline tra uno stato d’animo e l’altro. Insomma, una vera disgrazia che non ci voleva.

Eppure, al di là delle circostanze esterne sfavorevoli, le delusioni le programmiamo noi stessi con una eccessiva dose di speranza e con immagini talmente vivide da sembrare reali. Come la sofferenza del resto.

Il mondo però non condivide le nostre fughe alternative nell’immaginario e risponde con ostilità  alle sfide e alle verifiche che lanciamo nel quotidiano.

Ogni speranza naufraga al primo diniego, l’immaginazione si frantuma al successivo incidente, le sfide diventano la cifra di un totale fallimento personale.

Eppure siamo sempre noi, quelli laureati, quelli che fanno tante cose, quelli che sanno gestirne mille. Ma più ci si dà da fare per trovare un equilibrio perfetto, tanto più la delusione diventa abissale.

E allora serve immaginare meno, aspettarsi meno e attivarsi ulteriormente.

Purtroppo è così. Più le cose vanno male e più spingiamo sullo stesso chiodo. Ma non è con la forza che si producono gli effetti sperati. Al contrario, abbiano la possibilità di poterci realizzare con l’impegno a pianificare scenari alternativi.

La verità nuda e cruda è che noi abbiamo la responsabilità dei nostri cambiamenti. Non dipende dagli altri. Per questo è necessario sentirsi agenti attivi del proprio quadro di vita.

Prendersi del tempo, si; riflettere, si; riposare e recuperare, si; ma poi occorre darsi da fare.

Non è accettabile disperarsi, abbandonarsi, lasciarsi andare in attesa che qualcosa o qualcuno ci dia ragione e ci venga a salvare. Al di là delle circostanze, ambigue o sfavorevoli che siano, con una vita cinque meno meno, è importante adeguare i propri comportamenti per sentirsi meglio e godersi quello che c’è e che, all’orizzonte, ancora cammina. 
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'Dipende da te' di Lorenzo Manfredini

30/11/2017

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Hai tre macchine, quattro moto, quattro armadi, sei scatoloni di maglie, dieci zaini, molti interessi, tanti ricordi. Il macro circolo della tua vita è pieno e si continua a riempire nella speranza di raggiungere una massa critica da trasformare, per magia, in benessere. Come le galassie che hanno bisogno di nutrirsi di nuove energia per continuare a produrre stelle, la tua galassia si espande.

Nel contempo usi sempre una macchina, una moto, tre magliette, due pantaloni, due tute, ect. Il micro circolo della quotidianità invece è sempre uguale.

Nel sistema generale non circola ossigeno. Hai bisogno di energie sempre fresche da accumulare, da stipare, da controllare.

In questo modo anche i ricordi sono intrappolati. Le vecchie storie, le passate esperienze, le memorie veterane sono vive nello stesso modo. Sono segni, tracce, cicatrici disegnate con i lampi della dopamina, della serotonina, dell’adrenalina.

E non riesci a fare pulizia. Non riesci a fare diversamente dal tenere insieme cose, persone, ricordi. Nel contempo tutto è fermo. Consumi il doppio del tempo e molta energia viene sprecata.
​
Eppure vuoi una vita diversa. Vuoi vivere per scelta e non per caso. Per farlo devi liberare la zavorra, anche dai ricordi belli e dalle esperienze che non ritornano.

Quel patrimonio di masserizie o quel lavoro in più non smuove i progetti veri del tuo tempo e della tua età. Per salvarti la vita, hai bisogno di investire in speranza e ottimismo.

Hai bisogno di guardare avanti con una nuova abitudine da automatizzare quotidianamente: vivere felicemente, permettendo al cervello di regolare le emozioni forti e ordinare il mondo interiore.

Se vuoi descrivere il tuo mondo in modo diverso lascia andare le cose, liberati dai ricordi che ti attanagliano e guarda avanti.

Gli schemi cambiano da persona a persona e le situazioni cambiano molto velocemente. Il modo interiore di vivere le cose cambia la realtà e ci sono due metodi tra i quali scegliere: quelli che funzionano e quelli inadeguati a soddisfare i tuoi bisogni.

Si tratta di cambiare se stessi, non il mondo. Il mondo cambia con il tuo sguardo. Disfarsi di qualcosa, smettere di rimuginare su situazioni ormai finite, liberare gli armadi, guardare avanti … dipende da te: cambia strategia e cerca ciò che di buono ha la vita da offrire. 
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'Le domande giuste' di Lorenzo Manfredini

29/11/2017

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Ogni giorno siamo sui blocchi di partenza pronti a regolare le nostre vite di fronte a un adattamento, un cambiamento o a una scelta difficile, e ci chiediamo: ‘come pensare in modo più chiaro ed efficace? Come dare una svolta alla vita? Come progettare esperienze utili e positive? Come migliorare la salute e il benessere? Come equilibrare la vita lavorativa e personale?

In altre parole ‘come si fa, a dispetto delle circostanze, a rimanere vivi, in salute e talvolta guarire dalle nostre pene emotive o dalle nostre abitudini senza speranza?’

La risposta arriva ‘senza sforzo’ se ci poniamo la domanda giusta.

D’accordo, niente va come dovrebbe, i problemi bussano alla porta, le emozioni zampillano, ma ‘come faccio a sentirmi vivo, in salute, e ad apprezzare quello che c’è?’

La domanda giusta è la prima cosa da cercare. Serve per modificare i processi mentali, per fare la cosa giusta e per agire con responsabilità.

Se penso a chi sta vivendo un momento difficile come una malattia, una separazione, un lutto o la perdita del lavoro, le domande giuste, come soluzione al proprio dolore emozionale, possono far sorridere, ma rappresentano l’innesco di quei neuroni che vanno a caccia dei cambiamenti concreti.

Quindi, c’è da chiedersi non ‘come faccio a risolvere questo problema’, anche, ma soprattutto devo chiedermi ‘cosa ho? cosa mi fa stare bene? cosa mi fa andare avanti?’ Poi viene la soluzione del problema.

Nella vita abbiamo appreso da ogni esperienza, dalle paure ai fallimenti, dalle sfide quotidiane alle pressioni familiari e lavorative. Dobbiamo rafforzarci mentre la vita è all’apice e si dispiega. Lì, proprio lì, se agiamo sul pensiero e accendiamo il faro della coscienza, ponendoci le domande giuste, puntiamo le nostre energie sulle cose che contano davvero.

Si devono attivare dei processi virtuosi. Si deve dedicare un tempo di qualità per avviare dei processi intenzionali verso una genuina e spontanea felicità, anche nelle situazioni più critiche.

E dunque, qual è oggi la domanda più giusta che ti puoi porre? Scrivila e lasciati condurre da un atteggiamento guidato dalla speranza, dall’ottimismo e dalla proattività. Vivi come una persona che vuole trovare soluzioni per stare bene. E quando ti sembra di essere diventato un esperto, chiediti: ‘e poi?’ 
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'Troppi stimoli' di Lorenzo Manfredini

23/11/2017

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Adattarsi è una necessità che modifica noi stessi e ciò che ci circonda. Cambiare è nel DNA di ciascuno, ma cambiare profondamente è una scelta che nasce dalla conoscenza e dalla consapevolezza.

Ci sono però troppi stimoli da gestire e selezionare.

Mentre la nostra vita si dispiega, scienza, filosofia e religione, ma soprattutto i media, ci inondano di informazioni che non sappiamo bene come coordinare. Troppe strade in cui perdersi.

Abbiamo il faro del sorriso per cogliere l’unità di misura della nostra evoluzione personale, ma abbiamo al contempo bisogno di andare alla radice dei mille stimoli che oggi riempiono il tempo e l’attenzione di ciascuno di noi.

Il cantiere dell’ascolto, della riflessione e delle discussioni a cielo aperto nelle nuove strade e piazze del web, ci invitano a ripensare i nostri obiettivi e a darci ogni giorno stimoli realmente necessari e funzionali.

Dobbiamo cambiare qualcosa. Forse.

Prima di tutto l’eccesso di sovrapposizione tra l’abbondanza di stimoli e la scelta di ciò che è essenziale. Non si può leggere tutto o essere dappertutto.

Abbiamo bisogno di luoghi di riflessione, analisi, valutazioni e punti di vista per avere un’identità chiara e riconoscibile da offrire a noi stessi e alla nostra comunità.

Due temi in primo piano, ordine e chiarezza, per orientarci nel caos in cui viviamo.

Occorre ridisegnare la forma degli occhiali con cui leggiamo il mondo che ci circonda e sentirci più generativi. Capaci di attivare la nostra creatività con pazienza e sapienza per cogliere i flussi di una realtà che è ricca dentro e fuori.

Ci siamo persi nei mille rivoli dell’esistenza e dobbiamo ora ritrovare o rinnovare la nostra casa con una parola d’ordine: scegliere. Scegliere di non fare delle fotocopie di noi stessi, ma di scrivere sulla carta bianca chi essere oggi, suonare tra le corde dell’anima e decidere chi diventare domani. 
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'L'attività mentale è un processo' di Lorenzo Manfredini

5/10/2017

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L’attività mentale è un processo indirizzato a rispondere a quesiti importanti come la sopravvivenza e il significato del nostro vivere. Attraverso le sue attività siamo diventati grandi. Abbiamo imparato a gestire le domande esistenziali su come vivere, come crescere, che senso dare alla nostra vita.

Purtroppo o per fortuna, l’attività mentale è condizionata dal passato, dalla società, dagli altri in funzione di obiettivi specifici. La fortuna è che siamo coscienti. Il purtroppo, invece, riguarda il movimento della vita e gli inevitabili conflitti interiori che derivano dall’identificazione con quell’operatività mentale che genera ansia, angoscia e continue vie di fuga.

Quando siamo troppo intenti ad elucubrare sulle nostre condizioni interiori, non c’è silenzio bensì conflitto, viviamo nel tumulto di un passato che pesa e di un futuro che sfugge. I piedi si appoggiano su due canoe e i ponti mentali si afflosciano.

Tutto questo accade nelle nostre stanze mentali.

In quelle stanze ci occupiamo di ogni pensiero e fantasia. Indaffarati a seguire ogni ingranaggio, preoccupati di ogni esperienza, inconsapevoli delle trappole mentali, viviamo fratture, contrasti, interruzioni come ovvia conseguenza delle nostre inquietudini.

E se cambiassimo sguardo sui nostri processi mentali?

Gli stati mentali sono processi, appunto, non sono la nostra mente. Non abbiamo bisogno di identificarci con ogni evoluzione in atto: immagine, pensiero o ragionamento, che dir si voglia.

Non abbiamo bisogno di essere intrappolati nell’inquietudine, abbiamo bisogno di cambiare prospettiva e di attenerci a una vita in continuo movimento.

​Ai processi mentali che richiedono attenzione al passato, ai condizionamenti e alle abitudini rassicuranti dobbiamo rispondere con accettazione, adattamento e flessibilità.

Per riuscirci dobbiamo andare oltre le stanze della mente e ritornarci solo quando serve: per la sopravvivenza, per il raggiungimento di obiettivi, per la convivenza sociale.

I processi mentali sono come una stanza un po’ troppo scontata, dove occorre cercare la porta da cui uscire e ritrovare quel respiro profondo, quel mare blu, quel cielo infinito che loro sì, davvero, meritano tutta la nostra attenzione. 

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'Parlare con i vestiti' di Lorenzo Manfredini

29/9/2017

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Quando arriva il pensiero che il tempo passa inutilmente e si ha voglia di andare via, ma non si sa nè dove né perché, è arrivato il momento di chiedersi: ‘cosa stiamo realizzando?’. E’ questa la qualità della vita che avevamo pensato? E qual è il daimon (il disegno dell’anima) che la supporta?

Abbiamo seguito il nostro progetto? Abbiamo percepito una guida? Abbiamo colto nelle nostre immagini interiori la mappa del nostro destino? Abbiamo compreso come decifrare il codice della nostra anima?

Il presente che scorre sull’inutilità e sulla mancanza di stimoli fa pensare ad un periodo di pensieri negativi e a una condizione depressiva. Ma non è solo questo, è anche il desiderio di disegnare la realtà in modo diverso. Per avere più spazio, più dialogo, più espressione. Per raccontarsi e reinventarsi, per iniziare o riaccendere qualcosa.

Disegnare la propria realtà è riconoscersi nel proprio mondo di adulti, consci di ciò che si è scelto, nel bene e nel male, capaci di prendersi cura e di crescere personalmente.

A volte si intuisce qualcosa di unico nell’immaginazione, in quell’adolescenza dell'anima che ci aiuta a fertilizzare i terreni ideali con la fiducia totale nei nostri mezzi.

Ma si scopre molto di noi anche nel ‘fare finta che’, di quando si era bambini, nella scoperta della creatività e nella capacità di immergersi nei giochi e negli armadi per creare combinazioni spettacolari. E’ nel  mondo di mezzo dei giochi che abbiamo iniziamo la magia degli abbinamenti, della creatività e della trasformazione.

E’ li che una bambina rivive il piacere di parlare con i propri abiti. E’ lì che decifriamo l’alfabeto della nostra anima. Nelle immagini che ci prendono completamente, nelle passioni che ci travolgono e che ci aiutano a portare fuori la parte migliore di noi stessi.

Da bambini abbiamo parlato con gli amici immaginari, da ragazzi abbiamo idealizzato le nostre immagini interiori, da adolescenti abbiamo creato i nostri film, da adulti abbiamo scelto coscientemente e ora abbiamo bisogno di responsabilità. Abbiamo bisogno di scegliere qualcosa da onorare ogni giorno con passione e dedizione.

Ieri erano i nostri giochi a ricevere tutta la nostra attenzione, oggi è il daimon, quel compagno segreto che opera nella nostra vita, secondo J. Hillman, in un modo che non abbiamo ancora decifrato chiaramente nelle sue modalità operative.

E’ quella forza interiore che a volte ci aiuta ad attraversare circostanze, limiti e contesti poco favorevoli e ci permette di esprimere frammenti della nostra vera natura. Ed è a questa ricerca che sono rivolti i nostri sforzi: trovare la cosa giusta che allinea ogni fibra del nostro essere.

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'Essere lontani e sentirsi vicini' di Lorenzo Manfredini

28/9/2017

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Sentire parlare di relazioni a distanza o di facili amicizie sulle piattaforme social è sempre più frequente. Essere distanti chilometri rappresenta l’antitesi a quel luogo ormai comune che vede consumare amicizie e relazioni a stretta vicinanza.

I tempi sono cambiati e i luoghi della condivisione dei pensieri e delle emozioni sono mutati. Le mode si sono rinnovate e gli scenari hanno assunto nuovi sfondi.

Tutte le relazioni hanno subito il nuovo fascino del mutamento: il contatto virtuale si è sostituito a quello fisico, i social hanno accresciuto l’espressione di pensieri ed emozioni, la presenza fisica si è amplificata in immagini e filmati, l’identità è diventata molteplice, le relazioni, quelle tattili, sono diminuite.

Con la società in febbrile cambiamento, sono nate nuove esigenze. Siamo diventati pendolari a casa, in ufficio, in amore e nelle relazioni, ma abbiamo mantenuto la responsabilità delle connessioni e delle complicità che creiamo.

La distanza da colmare non dipende più dai km o dalla lontananza corporea, bensì dalla distanza delle coscienze. La sfida per riuscire a mantenere dei rapporti di qualità ha fatto dilatare l’importanza della comunicazione, delle parole e dell’immaginazione, più che dei sensi, dei gesti e dei corpi. Ricongiungersi a distanza, pertanto, è diventato qualcosa che riguarda la comunicazione cosciente, il sentimento e la maturità emotiva.

Essere distanti, ma non distaccati è l’estroso collante di qualsiasi separazione.

Con le parole, possiamo essere lì e altrove a un tempo, ma quando si ha a cuore una relazione, si comunica con attenzione, sentimento e serenità.

Volersi bene e sentirsi vicini, sono emozioni che viviamo oltre lo spazio e oltre il tempo. E ne abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno di confermare con un like, il nostro apprezzamento e vicinanza, con un commento, la nostra disponibilità alle avversità, e con la nostra immaginazione, l’amore per l’altro, per noi stessi e per la vita.

La distanza ci fa sentire la mancanza delle persone, è vero, ma ci esorta anche a lottare per stare insieme e a godere di ogni secondo, anche virtuale.

Purtroppo esageriamo, ma questa è un’altra storia. 

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'Pensieri, fiocchi e nastrifici' di Lorenzo Manfredini

26/9/2017

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L’argomento di questo post riguarda l’amore visto da quell’angolo di cuore, fragile e insicuro, che presenta il conto quasi ad ogni caffè o telefonata e che si chiama ‘dipendenza affettiva’.

Nell’amore, le emozioni viaggiano in parallelo con i pensieri e costruiscono ponti, case e chiese. Ma nei momenti di fragilità deviano in cavilli e fantasticherie, nastri e nastrifici, fino a diventare tormenti.

Basta che l’altro non sia come noi desideriamo, per essere pronti a pensare al peggio: creiamo fiocchi di pensieri negativi ed edifichiamo nastrifici per confermare tutto il male che proviamo.
Diventiamo delle piattole e, in breve, passiamo dall’amore alla disperazione, dalla stima di noi stessi alla nullità.

Se cadiamo in questo loop, all’interno del quale siamo possessivi, egocentrici, gelosi, controllanti, insicuri, l’assillo è che non meritiamo di stare bene.

Naturalmente, la vita reale è piena di ‘tira e molla’ sul tema ‘mi ama/non mi ama’, ed è difficile accettare l’altro per quello che è, così come è difficile lasciarlo per quello che non è.

Per interrompere questo circolo vizioso dobbiamo formulare un pensiero diverso che integri le nostre oscillazioni emotive. Dobbiamo mettere dei punti e realizzare che stare con qualcuno in modo consapevole, significa tenerlo sulle ginocchia anche quando non è lì con noi, ma altrove.

Spetta a noi apprezzare quell’unione, ma spetta sempre a noi continuare a vivere la nostra vita. Se pensiamo che sono le conferme dell’altro a farci sentire bene, cadiamo nella soggezione affettiva.

Quindi, accettare e poi abbandonare, sono il frutto di meccanismi interiori che abbiamo bisogno di rendere consapevoli per decidere come stare, come vivere e, nel caso, come abbandonare in modo splendido. Il beneficio? Non dipendere dall’altro, ma dalla nostra consapevolezza.

Una cosa è certa, quando siamo consapevoli e le decisioni sono totali, ogni problema ‘mi ama/non mi ama, amo/non amo, cade da sé. Siamo consapevoli di volerci bene e di amare. Punto! La prossima volta che cadiamo nella dipendenza affettiva, pensiamo ai nastri (mentali), al fatto che è fantastico esserne consapevoli dedicandoci ai fatti e non a perdere tempo. 

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'Segui i fatti!' di Lorenzo Manfredini

22/9/2017

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Cosa bisogna fare quando ci sono troppi pensieri in onda, un’ansia fuori controllo, infinite paure da sedare, mille dubbi da spiegare?

Segui i fatti! Segui il tuo sentire! Tutte le cose, anche le più gravi, sono affrontabili.

Ieri eri triste mentre oggi sei positiva. Ieri eri allucinata mentre ora sei creativa. Ieri mentivi mentre adesso cerchi l’autenticità.

Hai seguito i fatti. Hai esercitato la tua consapevolezza! Le cose camminano e la tua consapevolezza le ha trasformate.

Hai intuito che la realtà, il mondo reale è un Sé diffuso e spontaneo che quando lo osservi con considerazione ne hai una comprensione più ampia e profonda.

Ma cosa vuol dire, ‘segui i fatti?’ Vuol dire seguire la qualità dell’esperienza e cercarne una sintesi più alta.

Noi siamo un cumulo di istinti e ragione: siamo complessi, bugiardi autentici e falsi patentati, ma abbiamo la possibilità di scegliere come evolverci, cosa guardare e come farlo.

Per questo siamo spesso in difficoltà e proviamo ansia: dobbiamo scegliere! E scegliere è sempre difficile perché richiede uno sforzo, un impegno, un sacrificio. A volte delle rinunce.

Essere arrabbiati, tristi, depressi, gelosi, innamorati, ad esempio, non è bene né male, ma se capiamo quei sentimenti ci evolviamo. Per vivere in un mondo complesso, mentire, simulare, sorprendere, sono cose che abbiamo imparato sin da piccoli, ma se comprendiamo a fondo la nostra realtà interiore possiamo intuire ‘chi siamo’ e chi potremmo essere.

Anche se in modo conflittuale, è così che esercitiamo la nostra libertà, con ipocrisia e finzioni quali mali necessari. Possiamo anche riempirci di sentimenti e valori ingannevoli, possiamo anche provare emozioni deleterie, ma ad un certo punto abbiamo bisogno di fare delle scelte consapevoli.

Il passo inizia ‘osservando e seguendo i fatti’: il bisogno di autenticità porta le cose all’evidenza, la consapevolezza le rende uniche e la responsabilità le restituisce a quella libertà di scelta, che comunque vada, ci fa crescere. 

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'La magia della consapevolezza' di Lorenzo Manfredini

15/9/2017

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Molte persone affermano che i loro cambiamenti sono avvenuti da un momento all’altro. Sono dimagrite, hanno smesso di fumare, hanno controllato emozioni, hanno cambiato atteggiamenti, hanno preso decisioni definitive, da un giorno all’altro. Boom…!, tutto è cambiato!

Forse qualcosa ha fatto centro: una lettura, un consiglio, un disagio, ecc.. Per caso, sono maturate delle condizioni. Sta di fatto che la dipendenza da certe situazioni e abitudini è svanita. Si è dissolta.

Che cosa è successo di così determinante per produrre cambiamenti così risolutivi?

Se lo chiedono tutte le persone che, consapevoli delle loro abitudini malsane, hanno provato e riprovato a cambiare, ma senza successo.

La risposta, la saggezza orientale e più di recente la psicologia cognitiva, la attribuisce alla consapevolezza e in particolare all’utilizzo cosciente di alcuni stati mentali e di alcune tecniche di meditazione.

La prima affermazione che ci introduce a questa affascinate prospettiva è che tutto è energia. Il corpo è energia, il comportamento è energia, l’abitudine è energia.

Si tratta di coglierla e di andare al centro di qualcosa che la trasforma.

L’energia si muove e ci richiede in modo automatico di soddisfarla, di scaricarla, di ‘realizzarla’. Per questo parliamo di avere ‘l’istinto di…’, ‘l’impulso di…’, ‘la voglia di…’, ‘l’abitudine di …’.

Ma cosa accade quando ‘soddisfiamo’ il ‘file’ delle abitudini nocive? All’inizio ci sentiamo appagati, pieni, acquietati, ma poi ci sentiamo scontenti, frustrati, insoddisfatti. Un circolo vizioso di debolezza, insoddisfazione, insicurezza e anche rabbia e delusione, nei nostri confronti.

Cosa mai può accadere a quelle persone ‘fortunate’, o di ‘carattere’, affinché si realizzi un cambiamento così improvviso?

Se usiamo il metro della consapevolezza non è questione né di fortuna, né di carattere, ma di agire al di là della volontà cosciente o delle strategie razionali, per cogliere qualcosa di sottostante e radicale.

Questo accade quando viene dato spazio agli impulsi fino a soddisfarli consapevolmente e, così facendo, trasformarli. Succede quando, nell'atto di compiere un’azione, ci si ascolta qualche momento per sentire la veridicità di certe sensazioni. Avviene quando ci si sofferma a percepire in che modo l’energia si rivolge a un qualche tipo di centro interiore. O ancora, si ‘scopre’ che la consapevolezza è il vero motore di processi e decisioni rivoluzionarie.

Probabilmente, fermarsi, riconoscere un impulso, viverlo consapevolmente, sentirlo trasformare, percepire il proprio centro interiore, sono davvero le condizioni ottimali per il risveglio di direzioni e decisioni più sane. E che durano nel tempo. 

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'Scatole vuote e relazioni' di Lorenzo Manfredini

31/8/2017

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Di recente ho condiviso su Facebook un filmato esilarante sulle diversità di pensiero tra uomo e donna. Parlava di scatole vuote (l’uomo) e di relazioni (la donna), di punti e di virgole che entrambi mettono nell’affrontare le questioni.

Il pensiero maschile sembrerebbe agire per compartimenti quello femminile per estensione e per relazioni. Ne è venuto fuori un quadro impietoso dove la comunicazione tra uomo e donna risulta estremamente faticosa. Quasi impossibile.

Tutti ci ridiamo sopra, ma quando riguarda noi e la nostra vita di coppia storciamo il naso e non sappiamo bene come muoverci. Ci sembra tutto un mediare, un incolpare, un giudicare, un ‘dovrebbe essere diverso’.

Ognuno vorrebbe essere spontaneo per affermare le proprie ragioni. Peccato che quelle ragioni, per la sopravvivenza del dialogo, dovrebbero talvolta essere inibite, mediate o modificate con responsabilità, anche limitando la nostra ‘presunta spontaneità’.

Ad esempio una moglie separata che cerchi di migliorare la sua comunicazione con il silenzio (per il bene dei figli e per evitare discussioni e attriti con il marito) si trova a dover gestire il proprio comportamento come fosse un lavoro. E in effetti è un po’ un lavoro: è una faticaccia gestire gli stati interiori. Riguarda il sentire, il controllo degli stati interiori, la mediazione.

Se tace, prova rabbia per un passato, ancora non completamente digerito, che sfocia nel disinteresse.

Se riflette sulla vita del marito, nel vederlo solo e insoddisfatto, può provarne colpa mista a tenerezza.

Se lambisce il pensiero ‘come sarebbe la nostra vita se ritornassimo insieme?’, si trova a sognare aspettative mai soddisfatte e nell’insieme deludenti.

Se riflette sulle sue scelte, riconosce i patimenti subiti e le legittime decisioni alla separazione.

Insomma, un groviglio di relazioni su fatti, pensieri, emozioni.

Da ciò ne deriva che per migliorare la comunicazione, le buone intenzioni di un ascolto passivo e controllato non bastano. Serve qualcosa di più complesso. A volte, può essere utile inibire alcuni comportamenti reattivi. Talvolta, farsi carico delle questioni a cui si riesca a mettere il punto. Talaltra darsi tempo e spazio per sentire ciò che si vuole. Chiedere con meno giri di parole. Affrontare le proprie paure e magari farsi un bel giro per il mondo … anche a piedi. 

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'Respiro al corpo e aria ai pensieri' di Lorenzo Manfredini

30/7/2017

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Qualche giorno di vacanza serve per dare respiro al corpo, sollievo alle emozioni e aria ai pensieri.

Spesso in fuga dalle consuetudini quotidiane, si ricomincia da capo. Da qualcosa che appassiona, che avvicina, che coinvolge, che attrae, che trascina.

Quello che è stato è stato. Bilanci, stress, storie finite e infinite. Fine. Stop!

Si ricerca un luogo che riscaldi e arricchisca il cuore. Uno spazio da scoprire e ammirare. Un territorio da visitare capace di raccontare storie antiche e promettere magie.

Magie di luoghi e persone che, innamorate della loro origine, ci permettano di voltare pagina e di godere di un tempo speciale. Tutto per noi.

Si mette il dito sulla mappa e si parte. Che duri un giorno o un mese, l’importante è che sia un tempo sentito, pieno di sogni, di ricchezze naturali e di virtù.

In vacanza si apre quella fessura dove il corpo si addolcisce e lo sguardo si perde nel mare. La mente prende aria e ogni desiderio si avvera come per magia.

​Per qualche giorno ci si distrae dalla realtà quotidiana e, anche se è là che dovremo ritornare, le paure e i fantasmi si spengono mentre il cielo ci porta dentro i suoi colori.

In quel cielo e in quelle sfumature, flebili opportunità ipnotizzano i pensieri, la mente si rilassa e, nell’attesa di domani, si dispongono le idee alla chiarezza e all’essenzialità.

L’animo si rinvigorisce, il corpo e i sensi si tonificano, l’istinto si atteggia, il sorriso è beato, i sogni risanano.
​
Il ritorno, tra lame e piume, sarà pieno di nuove domande e nuovi piani, o almeno lo spero!

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Dott. Lorenzo Manfredini
Psicologo – Psicoterapeuta dell'approccio Cognitivo e Corporeo
Iscritto albo Emilia Romagna al n. 457
P. Iva: 00793640384
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